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La sindrome della nostalgia, disagio sociale e consenso della Sinistra

Una contraddizione percorre l’Europa: la crisi economica ha diffuso dappertutto, specie nell’Europa mediterranea, un fortissimo disagio sociale, eppure la Sinistra non sembra saperne approfittare sul piano elettorale. Lungi dall’essere all’attacco essa appare piuttosto sulla difensiva se non addirittura, come si è visto in Francia, alle prese con una grave crisi di consensi.
I dati sul disagio sociale nell’Unione parlano da soli: almeno 25 milioni di senza lavoro su una forza lavoro potenziale di circa 245 milioni; inoltre, secondo le statistiche ufficiali, metà dei nuovi posti di lavoro sono precari, mentre non si contano, specie in Italia e Spagna, i lavoratori che pur conservando il loro posto tuttavia non vengono pagati da un mese o più. Eppure, ripeto, la Sinistra non riesce a trarre da tutto ciò alcun particolare vantaggio sul piano dei consensi elettorali (se l’Italia fa eccezione è solo per una ragione assolutamente fuori dal comune: e cioè che da noi il lungo dominio di Berlusconi da un lato e l’inconsistenza politica del senatore Monti dall’altro hanno letteralmente disintegrato sia la Destra che il Centro; in queste circostanze non si vede proprio come potrebbe riuscire il Pd a non vincere!).

Sono soprattutto tre le ragioni che aiutano a spiegare le difficoltà della Sinistra a tradurre la crisi economica in consenso. Innanzitutto, la Sinistra è tuttora vittima della sindrome della nostalgia. Nostalgia di quella vera e propria età dell’oro che fu il lungo dopoguerra del «consenso socialdemocratico» (1945-1990), caratterizzato dalla crescita economica e dalle politiche keynesiane: pieno impiego, welfare, sindacalizzazione diffusa. Sono stati quelli i suoi «giorni alcionii», ed essa non se ne sa distaccare: si veda per un esempio italiano l’autentico struggimento con cui il suo popolo ha accolto il film di Veltroni su Enrico Berlinguer. Prigioniera del passato, la Sinistra non è riuscita a mantenersi in sintonia con i tempi nuovi, a comprenderli e a trovare rispetto ad essi un ruolo insieme compatibile ma diverso da quello dei suoi rivali.

In secondo luogo, questo attaccamento al passato impedisce ovviamente alla Sinistra stessa di accorgersi che parti centrali della sua tradizionale narrazione del mondo non corrispondono più alla realtà. Una in particolare: cioè l’idea che il suo avversario, la Destra, rappresenterebbe sempre e comunque gli interessi delle classi dominanti mentre solo lei, invece, rappresenterebbe realmente i bisogni ideali e pratici delle classi popolari. È proprio ciò, tuttavia, che è sempre meno vero, nel momento in cui in molte situazioni sociali europee (vedi la Francia, ma non solo) è piuttosto la Destra, al contrario, che si mostra capace, con le sue tematiche nazional-populiste, di «insinuarsi nell’esperienza della gente e di contribuire a darle un senso nuovo», di «captare l’immaginario collettivo» specie delle classi popolari. Non sta scritto da nessuna parte, insomma, che i «poveri» debbano per forza pensare e fare cose «di sinistra».

Il terzo e ultimo elemento che danneggia elettoralmente la Sinistra è il fatto che oggi i suoi esponenti vengono percepiti – giustamente – come una parte significativa dell’élite delle società europee, in molti casi ai vertici del potere. Si pensi ad esempio a come la Sinistra domini il sistema dei media e come sia lei in generale a plasmare l’opinione «rispettabile», i valori accreditati proposti obbligatoriamente al resto della società. Nell’ambito dell’Ue e delle sue politiche, poi, la Sinistra appare poco o nulla distinguibile dai suoi avversari, prona da tempo alla medesima vuota ideologia dell’«europeismo» a prescindere. Si aggiunga infine l’ormai sopravvenuta mancanza in Italia come altrove di qualunque tratto «popolare» nell’antropologia dei suoi dirigenti, nel loro abbigliamento, nei modi, negli svaghi, nel linguaggio, nel loro laicismo di maniera; insomma, la loro omologazione – sia degli uomini che delle donne – al modello di agio borghese simboleggiato dal tailleurino Armani e dalla casa in campagna con relativa vigna. È precisamente rispetto a questo panorama che acquista rilievo – forse non solo italiano – la novità che per la Sinistra rappresenta la leadership di Matteo Renzi. Una novità riassumibile in tre punti che sembrano quasi altrettante risposte alle difficoltà illustrate sopra.

Innanzitutto nella prospettiva dell’attuale presidente del Consiglio non esiste più alcuna centralità – e quindi tanto meno nostalgia – né per la classe operaia né per il sindacato, pilastri dell’ormai tramontato «consenso socialdemocratico». Il loro posto appare preso piuttosto (cristianamente? Forse. Del resto non si è stati boyscout per nulla…) dai «poveri», da coloro che non sanno come tirare avanti, da coloro che in genere «non hanno avuto».

In secondo luogo è abbastanza chiaro che, avendo ben poco in comune con il tradizionale sfondo ideologico della Sinistra (e delle sue molte presunzioni), da Renzi è difficile aspettarsi scomuniche altezzose nei confronti di temi, punti di vista, anche insofferenze, di segno «populista» o fatte comunque proprie dagli strati popolari. Al contrario, ad ogni eventuale furore «populista» di destra egli appare perfettamente pronto ad opporre, per la sua formazione e il suo temperamento, un ben più convincente buon senso «populista» di sinistra.
Da ultimo, vuoi per la giovane età, vuoi per il percorso tipicamente da outsider , il nuovo segretario del Pd è ben poco identificabile con la Sinistra dell’élite stancamente imborghesita, da tempo allocatasi nel potere sociale diffuso, da tempo padrona dei canali di formazione e diffusione dell’ideologia dominante. Verso la quale élite anzi, come si sa, egli non ha mai nascosto i suoi propositi di «rottamazione».

Ma se sono visibilmente queste le novità che Matteo Renzi rappresenta, e che spiegano il suo successo, rimane ancora impregiudicato il punto decisivo: se esse, dando luogo a un’efficace azione di governo, riusciranno a oltrepassare la dimensione della leadership personale e a coagularsi in forme collettive. Per esempio nella formazione di nuovi gruppi dirigenti o nella costituzione di una prospettiva egemonica, nelle sole cose cioè che permetteranno di parlare di una vera svolta nella cultura generale della Sinistra: al di là dell’ondata di conversioni opportunistiche – «tutti renziani!» – che già si sta sollevando e che al primo successo, c’è da giurarci, sommergerà l’Italia.

di Ernesto Galli della Loggia

da http://www.corriere.it/editoriali/14_aprile_13/sindrome-nostalgia-daa5acb2-c2d2-11e3-a3de-4531ca6bc782.shtml

Scritto da Redazione

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