Secondo una nuova stima dell’International comparison program (Icp) l’economia cinese potrebbe diventare la più grande del mondo entro la fine del 2014, superando gli Stati Uniti, scrive il Financial Times. Stando ai dati dell’Icp, nel 2005 il pil cinese valeva il 43 per cento di quello statunitense, ma nel 2011 aveva già raggiunto l’87 per cento.
Finora gli economisti prevedevano che il sorpasso sarebbe avvenuto intorno al 2019. L’Icp ha però aggiornato il suo sistema di calcolo della parità di potere d’acquisto, l’aggiustamento che va applicato alle statistiche dopo la conversione da una valuta all’altra per riflettere le differenze tra il prezzo dei beni e dei servizi nei vari paesi. Nel caso della Cina e degli Stati Uniti questo fattore è cambiato del 20 per cento rispetto all’ultimo aggiornamento nel 2005.
Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, nel 2012 il pil della Cina era ancora la metà di quello degli Stati Uniti (8,2 trilioni di dollari contro 16,2). Ma come spiega Linda Yueh sulla Bbc, la moneta cinese ha un tasso di cambio sottovalutato (Pechino è stata spesso accusata di tenerlo artificialmente basso per favorire le esportazioni), quindi il valore reale dei beni e dei servizi scambiati è maggiore.
La stessa considerazione vale anche per le altre economie emergenti. Secondo i dati dell’Icp la quota del pil globale rappresentata dai paesi a medio reddito passa dal 32 al 48 per cento. L’India risulta la terza economia del mondo, e Russia, Brasile, Indonesia e Messico entrano tra le prime dodici. Insieme all’elevato tasso di crescita di questi paesi, i nuovi dati “suggeriscono che il mondo è diventato più equo”, si legge nel rapporto dell’Icp. Ovviamente si parla del gap tra i paesi e non delle disuguaglianze economiche tra i loro cittadini, che invece continuano a crescere.
Se le statistiche a parità di potere d’acquisto sono generalmente considerate più realistiche di quelle nominali, il calcolo degli aggiustamenti necessari si basa su un’enorme quantità di fattori e può dare risultati molto differenti. I dati del Fondo monetario internazionale, per esempio, mostrano una discrepanza rispetto ai valori nominali molto meno marcata di quelli dell’Icp. Come ammette lo stesso rapporto, “a causa della complessità del processo di raccolta dei dati e di calcolo degli aggiustamenti, non è possibile stimare direttamente i margini di errore”.
Comparare il valore di beni e servizi in economie differenti può essere arbitrario. L’Economist pubblica da anni il Big Mac Index, che si basa sulle differenze di prezzo di un prodotto che viene venduto praticamente identico in tutto il mondo: l’hamburger Big Mac di McDonald’s. Ma la qualità di un tostapane o di un taglio di capelli a Pechino e a New York può essere molto diversa, nota Jamil Anderlini sul Financial Times.
Inoltre i dati forniti dalla Cina sono spesso manipolati dal governo e non comprendono l’economia sommersa e le attività illegali. Se queste venissero prese in considerazione, il pil cinese potrebbe aver già superato da tempo quello statunitense.
In ogni caso, l’economia cinese continua a crescere al doppio della velocità di quella statunitense e prevedere esattamente quando la sorpasserà in termini di Ppp non è così importante dato che entro la finde del decennio la supererà anche in termini nominali, scrive Anderlini. La vera questione è la sostenibilità a lungo termine della crescita della Cina, troppo dipendente dagli investimenti e dalla bolla immobiliare, e la qualità dei beni e dei servizi che i suoi cittadini possono acquistare, che rimane molto più bassa di quella dei paesi ricchi.
In termini di potere d’acquisto pro capite, i 1,36 miliardi di cinesi sono ancora al 93esimo posto nel mondo, dietro la Libia e l’Azerbaigian, e ci vorranno altri decenni di crescita prima che possano colmare il gap con gli statunitensi.
Fonte: http://www.internazionale.it/