“Chi parte per Beirut, e ha in tasca un miliardo. Na-na-na-na-na-na-na. E il cielo è sempre più bluuu-u-u…”. Parole di Rino Gaetano. Citazione dedicata a Felice “Felicino” Riva, presidente del Milan nel 1965 e bancarottiere da 46 miliardi di lire nel 1969 (15mila lavoratori del Cotonificio Vallesusa mandati a casa). Ma soprattutto latitante a Beirut fino al 1982. Quando la guerra sconsigliò a tutti di esibirsi nello sci d’acqua davanti ai lettini dell’hotel St. Georges. E anche a lui.
Beh, a quanto pare la storia si ripete. E “Felicino” lascia il posto a Marcello “Marcellino” Dell’Utri. Che non ama lo sci d’acqua ma, dicono, il “fermento culturale” della Parigi del Medio Oriente. Dove è vero che ogni tanto qualcuno salta in aria, però il martini cocktail è ancora un martini cocktail, accidenti, i tramonti ispirano affari e la primavera, più che d’arabia, sa di quell’odore acre ma eccitante che solo il carburatore di una Ferrari è capace di spandere nell’aria.
Ora, noi tutti ci auguriamo che “Marcellino” sia finito lì (questo direbbero le intercettazioni) per curarsi e non per sfuggire a una possibile conferma della condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa da parte della Cassazione. E prendiamo le parole che ha dettato ieri al suo difensore, non sappiamo se da una clinica o da una villa nel lussuoso quartiere di Ashrafieh, come oro colato: “Non intendo sottrarmi al risultato processuale”. Ma questa sua, diciamo così, lontananza un po’ sospetta lo è. Per modi e per tempistica.
C’è una linea di confine etica, non solo politica, che nessun uomo delle istituzioni, per quanto ex (onorevole, senatore, parlamentare europeo), dovrebbe varcare: quella dell’assunzione di responsabilità di fronte alla legge. Piaccia o non piaccia. Ma da questo punto di vista Beirut è sempre stata elastica. Di linee ne ha viste tante. Quella “verde” che segnava il confine tra Est e Ovest, ai tempi della guerra che rovinò la latitanza di “Felicino”, era l’incubo dei conducenti di taxi perché negli scheletri dei palazzi che la segnavano s’annidavano i cecchini. Tanto che, per attraversarla, contavano i colpi dei caricatori dei kalashnikov. E, appena si convincevano che fossero esauriti, avevano sette secondi per passare. A volte.
Oggi ritrovarla è un po’ come andare a caccia del Muro a Berlino. Cancellata da una sontuosa ricostruzione. Sono rimasti i kalashnikov, ma quelli pure in Sicilia. Dove Cosa Nostra non è mai stata schizzinosa tra chi l’appoggiava dall’interno o dall’esterno. Fattispecie di reato, quest’ultima, che difficilmente verrebbe accolta dalla magistratura libanese in una eventuale richiesta di estradizione.
Ecco perché Dell’Utri potrebbe rimanere libero Martedì è attesa la sentenza della corte di Cassazione: se venisse confermata la condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, le carte passerebbero agli uffici competenti libanesi i quali, non esistendo nel paese il reato in questione, potrebbero non avallare l’estradizione. Dunque l’ex senatore potrebbe restare in libertà a Beirut.
di Andrea Purgatori
Giornalista d’inchiesta, L’Huffington Post
Fonte: http://www.huffingtonpost.it/