Pur essendo il grande assente dell’udienza preliminare della Rimborsopoli piemontese il governatore Roberto Cota è riuscito ugualmente, ieri, a recitare la parte del protagonista. Ha annunciato, infatti, che c’è anche lui tra i consiglieri che hanno restituito il “maltolto” alla Regione per ottenere condizioni più favorevoli nel corso del processo. Ha dovuto sborsare circa 32 mila euro che corrispondono alla somma contestata dalla procura (tra mutante rimborsi per cene al ristorante) più il trenta per cento del danno all’immagine provocato all’ente da lui governato. “Cota, pur ribadendo la correttezza del proprio comportamento e la propria assoluta innocenza rispetto alle accuse mosse dalla procura di Torino – ha detto il suo avvocato Domenico Aiello – ha deciso di agire in questo modo in un’ottica di trasparenza”. A sorpresa, alla
vigilia della prima udienza, aveva comunicato la sua scelta di farsi giudicare da solo e con il rito immediato. Il processo per lui si aprirà il 21 ottobre.
Intanto, ieri mattina a Palazzo di giustizia è cominciata l’udienza preliminare davanti al gup, Roberto Ruscello, dell’inchiesta che nell’autunno del 2012 ha travolto l’intera amministrazione regionale e i suoi politici accusati di aver speso denaro pubblico per comprarsi un po’ di tutto dai campanacci per le mucche, al guardaroba firmato, dal frigorifero all’intimo del colore del partito. Non era presente nessuno dei consiglieri regionali imputati nell’inchiesta sulle spese pazze dei gruppi regionali. Solo Rosa Anna Costa (Ncd), accanto al suo avvocato Alfredo Caviglione, ha partecipato alla prima parte dell’udienza. Sorridente e tranquilla non ha voluto rilasciare dichiarazioni sul tema dell’inchiesta ma con ironia ha commentato: “Sono l’unica ma posso rappresentare quasi tutti i colleghi che non sono venuti”.
Sempre ieri nel corso dell’udienza si è appreso che sono una quindicina i politici imputati che fino a oggi hanno restituito il denaro pubblico che secondo i pm, Enrica Gabetta e Giancarlo Avenati Bassi, avrebbero utilizzato per scopi personali: circa 300 mila euro sono già stati versati sul conto della tesoreria della Regione (altrettanti sono in arrivo) contro il milione e mezzo che complessivamente viene contestato. Risarcire significa ottenere l’attenuante nel processo con l’accusa di peculato ed è la condizione necessaria per ottenere il patteggiamento. I soldi però resteranno «congelati» fino a che non sarà nominata una nuova giunta (l’attuale è infatti in evidente conflitto d’interessi) che possa rilasciare l’atto formale di quietanza ai consiglieri. Anche se questa pratica resta formalmente bloccata fino all’esito delle nuove elezioni, procede a passi spediti la «trattativa» degli avvocati che cercano di conquistare per i propri clienti buone condizioni di patteggiamento.
È ancora ufficioso l’elenco dei consiglieri che sarebbero disposti a chiudere il processo in tempi brevi concordando la pena. Molti sono leghisti ma c’è anche qualche ex Pdl ed esponenti dei monogruppi. Tra i nomi dati quasi per certi compaiono quelli di Giovanna Quaglia ed Elena Maccanti, insieme ad Antonello Angeleri, Michele Marinello e Gianfranco Novero, del Carroccio. Marco Botta e Francesco Toselli ex Pdl. Patteggiare ha i suoi vantaggi, le condanne infatti si dovrebbero aggirare tra l’anno e l’anno e mezzo a seconda dei reati contestati e degli importi degli scontrini evitando così la scure dell’incandidabilità della legge Severino. In tanti sono anche tentati dal rito abbreviato che garantirebbe, secondo gli avvocati, da un lato di poter continuare a sperare nell’assoluzione, dall’altro, in caso di condanna, di ottenere una pena non molto distante da quelle dei patteggiamenti.
Ma la discussione sui riti alternativi è rinviata alle prossime udienze quando il processo entrerà nel vivo. Si parte lunedì 14 con l’ammissione o l’esclusione del Codacons come parte civile. E poi si prosegue con un calendario serrato fino all’inizio dell’estate