Nella polemica del Movimento a 5 stelle conseguente alla nota sentenza della Corte costituzionale non c’è solo irruenza e intemperanza, ma anche un pizzico di stupidità e di ignoranza. Stupido mi pare – ad esempio – bollare come illegittimi solo i parlamentari eletti grazie all’abnorme premio di maggioranza e non quelli eletti con liste bloccate, senza possibilità di scelta da parte degli elettori (cioè tutti i parlamentari, grillini inclusi). Ed è da analfabeti giuridici il pressante attacco al Presidente della Repubblica, la cui elezione sarebbe incostituzionale, perché maturata in un Parlamento incostituzionalmente costituito.
Le cose non stanno così. L’assetto repubblicano non tollera vuoti di potere e di legittimità e fa salvi gli effetti delle leggi fino alla dichiarazione di incostituzionalità. Nel caso specifico il Parlamento non è affatto illegittimo e conserva le sue funzioni fino a quando non venga sostituito da uno nuovo, eletto con una nuova legge; così restano in vigore (purtroppo, direi) tutte le leggi emanate dal 2006 ad oggi dai Parlamenti eletti con il “porcellum”; ed, infine, è assolutamente valida l’elezione di Napolitano. Resta l’obbligo stringente e irrinviabile di adeguare la legge elettorale alla Costituzione di modo che sia possibile restituire la parola al popolo sovrano in qualsiasi momento si renda necessario.
Si sperava che la sentenza potesse contenere una clausola di garanzia: il ritorno automatico alla legge elettorale precedente (il cosiddetto “mattarellum”), in mancanza di un nuovo intervento legislativo. E’ escluso: sono stati stata bocciati lo strabordante premio di maggioranza e le liste bloccate che tolgono ogni possibilità di scelta, non l’intera legge. Spetta perciò a questo Parlamento – comunque sia stato eletto – l’obbligo democratico di approvare subito una nuova legge elettorale.
Il Pd, che – favorito dal porcellum – ha una rappresentanza maggioritaria, ha il dovere politico di una proposta (una, non venticinque) che ponga deputati e senatori di fronte alle loro responsabilità, senza perdite di tempo. L’elezione di Renzi alle primarie rende la cosa possibile.
Infine il Presidente della Repubblica dovrebbe far di tutto sanare questa disfunzione che pesantemente inceppa la macchina dello democrazia: logica giuridica e lealtà repubblicana imporrebbero che egli si rivolga alle Camere per denunciare l’insostenibilità della situazione nella forma solenne dell’appello e non con le frequentissime irrituali esternazioni che hanno finito per banalizzarne la funzione. Il tempo per farlo sta per arrivare: è questione di giorni se non di ore il deposito delle motivazioni e del dispositivo. A primavera si dovrebbe poter eleggere un Parlamento legittimo e rappresentativo, esprimere un governo normale e Napolitano potrebbe lasciare la carica a cui – dicono i suoi amici – è stato costretto (con le armi in pugno?).
C’è, del resto, una verità interna nella gazzarra grillista. La sentenza non delegittima e non scioglie il Parlamento attuale, ma denuncia una grave carenza di rappresentatività: un Parlamento con un tale vizio d’origine non si può fare durare a lungo. Le riforme da fare sono l’argomento di forza di Letta e di Napolitano che difende a spada tratta il governo anche sull’indifendibile (vedi caso Cancellieri), ma l’intenzione di cambiare da cima a fondo l’assetto costituzionale con un Parlamento siffatto contiene un non so che di golpista. La sfrontata dichiarazione di ieri del Presidente della Repubblica (“basta con polemiche preelettorali, le elezioni non sono dietro l’angolo”) aumenta le preoccupazioni. L’impressione è che si voglia mantenere in vita a lungo questa bailamme politica, che si voglia forzare la situazione per porre i cittadini di fronte al fatto compiuto e proporre loro un diktat, un “prendere o lasciare” categorico e assoluto che ricorda lo svuotamento plebiscitario delle leggi costituzionali compiuto dai fascismi. Immagino che prima di procedere a dichiarazioni così impegnative Napolitano si sia accertato della fedeltà alla sua persona dei capi militari e dei capi delle polizie.
di Salvatore Lo Leggio