In un documento reso pubblico oggi e intitolato “Corea del Nord: il continuo investimento nell’infrastruttura della repressione“, Amnesty International ha diffuso testimonianze inedite e nuove immagini satellitari che rivelano l’ulteriore allargamento di due dei più grandi campi di prigionia (kwanliso) del paese, il 15 e il 16.
Il documento di Amnesty International denuncia la costruzione di nuovi blocchi per i prigionieri, l’espansione delle fabbriche e il rafforzamento delle misure di sicurezza.
Un ex funzionario di sicurezza del kwanliso 16, il più grande centro di detenzione politica della Corea del Nord, per la prima volta ha preso la parola per raccontare ad Amnesty International di detenuti costretti a scavarsi la fossa e di donne stuprate e poi scomparse.
“L’orrenda realtà del continuo investimento della Corea del Nord in questo vasto reticolo di repressione ora è chiara. Chiediamo alle autorità di rilasciare subito e senza alcuna condizione tutti i prigionieri di coscienza detenuti nei campi di prigionia politica e di chiudere questi ultimi immediatamente” – ha dichiarato Rajiv Narayan, ricercatore di Amnesty International sull’Asia Orientale.
Amnesty International ha condiviso le ultime prove raccolte con la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite che sta indagando sulle violazioni dei diritti umani nella Corea del Nord.
Centinaia di migliaia di persone – bambini compresi – sono detenute nei campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del paese. Molte di esse non hanno commesso alcun reato e sono unicamente familiari di presunti responsabili di gravi reati politici. La loro detenzione, basata sulla “colpevolezza per associazione”, rappresenta una forma di punizione collettiva.
Il kwanliso 16, nei pressi di Hwaesong, nella provincia di Hamgyong Nord, si estende per circa 560 chilometri quadrati, tre volte Washington, la capitale degli Usa. È uno dei siti meno indagati nel vasto sistema dei campi di prigionia politica. Nel 2011, si riteneva vi fossero detenute 20.000 persone.
Le immagini del maggio 2013 mostrano nuovi blocchi per i detenuti già terminati o in costruzione, segnale di un lieve incremento della popolazione del campo. Le immagini evidenziano anche l’espansione di un’area industriale all’interno del campo, così come attività economiche (agricole, minerarie e boschive) in corso.
Il duro lavoro forzato è una prassi comune nei campi di prigionia politica della Corea del Nord. Secondo le testimonianze di ex detenuti e funzionari dei campi, i prigionieri passano la maggior parte del tempo a lavorare in condizioni pericolose, con poco tempo a disposizione per riposare.
Le misure di sicurezza rimangono rigide. Le immagini satellitari mostrano posti di controllo e filo spinato intorno al perimetro del campo. I movimenti paiono limitati e controllati attraverso ingressi sorvegliati, torri di guardia e posti di blocco interni al campo.
Nel novembre 2013 il signor Lee, addetto alla sicurezza del kwanliso 16 dagli anni Ottanta fino alla metà degli anni Novanta, ha rilasciato un’intervista ad Amnesty International circa i metodi usati per mettere a morte i prigionieri. Questi vengono costretti a scavarsi la fossa e poi uccisi con un colpo di martello al collo. Il signor Lee ha visto funzionari del campo strangolare detenuti o picchiarli a morte con bastoni di legno.
Il signor Lee ha anche parlato delle donne scomparse dopo essere state stuprate: “Dopo una notte ‘al servizio’ dei funzionari, le donne dovevano morire affinché il segreto non trapelasse. Questo accadeva nella maggior parte dei campi di prigionia politica”.
Kim Young-soon, ex detenuta del kwanliso 15 tra il 1980 e il 1989, ha descritto l’esecuzione pubblica di due prigionieri che avevano tentato di evadere: “Li portarono sul posto dopo averli malmenati. Li legarono a dei pali di legno e gli spararono tre volte, alla testa, al petto e ai piedi”.
Le immagini satellitari del kwanliso 15, noto anche come “Yodok” mostrano, rispetto a quelle del 2011, che sono stati demoliti 39 blocchi e ne sono stati costruiti sei nuovi. La diminuzione dei blocchi lascia supporre che la popolazione del campo sia diminuita, ma Amnesty International non è in grado di verificare quanti siano i detenuti o quale sia stata la loro sorte.
Il kwanliso 15 si estende su un’area di 370 chilometri quadrati e si trova al centro del paese, a 120 chilometri dalla capitale Pyongyang.Nel 2011, si ritiene vi si trovassero 50.000 prigionieri.
Anche a Yodok, come nel kwanliso 16, le misure di sicurezza sono rigorose. Le immagini satellitari mostrano rilevanti attività economiche in corso, tra cui il taglio del legname e la produzione di mobili.
di Redazione
(Comunicato Amnesty)