L’ultimo libro di Matteo Cosenza (edito da Rubbettino) è stato presentato a Cosenza. Per la politica sono tempi duri. Soffia su di essa un vento dissacrante che sembra non voler risparmiare niente e nessuno, come se la storia politica italiana di questi decenni fosse stata soltanto storia di arrivismi, privilegi e malaffare. Poi però dal passato, nemmeno tanto lontano, affiorano storie, come quella raccontata da Matteo Cosenza, direttore del “Quotidiano della Calabria” nel suo ultimo libro, che, fortunatamente, ci riportano alla realtà, ci rimettono con i piedi per terra, rendendo giustizia a quanti, e sono stati tanti in cinquant’anni di storia repubblicana, la politica l’hanno fatta per passione, gratuitamente, sull’onda di grandi ideali, coltivando sogni e speranze, pagando anche prezzi personali altissimi.
Ecco, “Il Compagno Saul” può essere considerato non solo e non tanto il tributo di un figlio verso il padre, ma un racconto paradigmatico di una stagione politica in cui la militanza andava a braccetto col sacrificio di affetti e di opportunità personali, in nome della missione di “cambiare il mondo” che veniva prima di ogni altra cosa.
Lo dice chiaramente Matteo Cosenza tra le pieghe del suo lavoro: “(…)quasi il suo destino fosse indissolubilmente legato alla «causa» di un movimento collettivo che pensava di poter cambiare il mondo mettendo al centro il lavoro dell’uomo e la solidarietà”.Il libro è scritto con evidente trasporto emotivo, ma mantiene intatto il suo valore pedagogico, per le nuove generazioni, per chi si affaccia oggi alla politica. Di certo è un ottimo antidoto per rinsavire da facili suggestioni antipolitiche che negli ultimi tempi sembrano aver contagiato un numero considerevole di persone nel nostro paese.
Dentro c’è l’universo duro dei cantieri navali, che forgia uomini di tempra fortissima, votati al sacrificio, e la microstoria di una piccola città del sud, che fa da paradigma a tante storie simili sparse da un capo all’altro della penisola. In primo piano c’è però la vita del “Compagno Saul”, che si snoda a cavallo tra due epoche, quella del Ventennio e quella della rinata democrazia.
Saul Cosenza era un operaio comunista, di quelli che avevano fatto della militanza per il riscatto dei più deboli la loro ragione di vita, e i cui comportamenti nella vita quotidiana, anche al di fuori del luogo di lavoro e della sezione di partito, erano ispirati a quei valori di solidarietà e di sobrietà che connotavano in quegli anni il profilo di chi stava col Pci. Tanto rigore e attaccamento al proprio lavoro che, nonostante il suo ingresso nel Comitato centrale del partito, gli consigliarono sempre di rifiutare incarichi istituzionali, pur prospettatigli dai vertici del partito in tante occasioni. Scrive l’autore: “Entrò nell’universo della fabbrica dal quale non uscì più. Il cantiere, il suo cantiere. Le navi che scivolavano in mare, assecondate da mani esperte e cime sicure, erano già le sue navi prima di entrare in fabbrica; lo divennero per sempre indipendentemente da chi fosse il proprietario dell’azienda, nel momento in cui dava il suo piccolo contributo a realizzarle e a farle così belle”.
Un atteggiamento difficile da spiegare oggi, che rimanda al rapporto che tanti operai comunisti hanno avuto col proprio lavoro. Si è spesso parlato a tal proposito di “etica del lavoro” e della percezione di sé come co-artefici del futuro della nazione. E’ vero: un’intera generazione di comunisti, pur lottando per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro, è finita per identificarsi con la propria fabbrica, il proprio cantiere, sentendosene parte integrante.
In questo la storia di Saul Cosenza è perfettamente sovrapponibile a quella di tanti operai metalmeccanici della Torino degli anni cinquanta e sessanta, che riuscivano a combinane amore e odio per la Fiat.
La storia racchiusa nel libro di Matteo Cosenza finisce nel 1980, con il terremoto che devastò tanta parte della Campania. Saul Cosenza si era impegnato tanto nel soccorso dei propri concittadini rimasti sotto le macerie, ma forse proprio quell’estremo atto di generosità, unito al dolore per i danni materiali e morali che quel tragico evento cagionò, finirono per essergli fatali. Aveva solo 55 anni quando il suo cuore si fermò.Le sue esequie furono solenni, come si addicevano ad un dirigente politico del suo rango, amato e stimato dai compagni. “Erano anni che una camera ardente non veniva allestita nella sezione del partito”, scrive l’autore.
Il giorno del funerale la pioggia cadeva forte in piazza Spartaco ed a ricordare il “Compagno Saul” c’era Giorgio Napolitano, che pronunciò la sua orazione funebre “davanti a una folla straripante, oltre diecimila persone.
di Luigi Pandolfi