Per quanto occorra riconoscere al ministro Trigilia grande impegno ed anche qualche primo risultato, le politiche di coesione sono lontane dal produrre le condizioni per una inversione di rotta del nostro Mezzogiorno, che continua ad allontanarsi dal resto del Paese.
Come dicevo, alcuni risultati non mancano. Mi riferisco ai dati recenti sulla spesa dei fondi europei, stando ai quali – pure in un quadro di smaccate lentezze burocratiche – le regioni del Mezzogiorno starebbero rispettando i target di spesa e c’è la possibilità che a fine anno riescano ad evitare la perdita di risorse. Inoltre, è importante l’approvazione in via definitiva della legge che istituisce L’Agenzia per la Coesione Territoriale, voluta prima da Barca e poi da Trigilia. Ciò significa che la programmazione dei fondi europei per il 2014-2020 si avvarrà di uno strumento che dovrebbe velocizzare la spesa e migliorarne la qualità, e anche sostituirsi agli enti di gestione ritardatari o inadempienti.
A ben vedere, l’Agenzia si colloca al centro dell’azione strategica di Trigilia, il quale è concentrato sui fondi europei e sul modo in cui essi vengono spesi. Il ministro non fa mistero che la sua impostazione prende le mosse da un giudizio grave sul modo in cui nel Mezzogiorno vengono generalmente spese le risorse pubbliche. Nella sua visione, come ha ribadito nella recente conferenza ai Lincei, il Mezzogiorno si presenta come un’area a basso capitale sociale, a ridotto senso civico, nella quale le risorse pubbliche sono utilizzate troppo spesso a fini clientelari, il che rappresenta un ostacolo allo sviluppo economico e fa prosperare i sistemi criminali. Che la spesa pubblica nel Mezzogiorno sia di pessima qualità e che i sistemi clientelari siano estremamente pervasivi è ben difficile negarlo, come ho avuto modo di denunciare pubblicamente a più riprese io stesso, a seguito della mia breve stagione di assessore tecnico al bilancio a Napoli. Ben vengano, quindi, tutti i controlli e i poteri sostitutivi invocati da Trigilia.
Se però il discorso si limitasse alla sequenza clientele-scarsa qualità della spesa-controlli, ci perderemmo una bella fetta di verità. Sarebbe illusorio pensare che il migliore utilizzo possibile dei fondi europei potrebbe da solo tirare il Mezzogiorno fuori dal sottosviluppo. E questo soprattutto perché le risorse a disposizione sono terribilmente scarse. I dati ufficiali, infatti, ci mostrano inequivocabilmente che: la spesa pubblica per cittadino del Mezzogiorno è ben inferiore alla media italiana; gli obiettivi relativi alla spesa per investimenti non sono stati raggiunti; i tagli alla spesa pubblica operati negli ultimi anni hanno colpito soprattutto il Mezzogiorno; l’utilizzo dei fondi europei ha sempre più una natura sostitutiva rispetto all’intervento nazionale. Per avere una chiara idea di quanto affermo può essere utile ricordare il caso della politica di coesione di successo registrato in Germania. In quel Paese, infatti, dopo la riunificazione avvenuta nel 1990, è stato possibile dimezzare la differenza tra i redditi pro capite degli abitanti dell’est e quelli dell’ovest, a costo però di uno stanziamento colossale di risorse che, tra investimenti in infrastrutture e spesa sociale, viene quantificato in oltre 1600 miliardi di euro. A confronto, le risorse per il Mezzogiorno sono briciole. E questo forse può aiutarci anche a capire perché, senza che ciò scalfisca minimamente la nostra condanna etico-morale, tanta parte della politica meridionale insegua le clientele per mantenere il consenso.
Né si può pensare che dove le risorse mancano possano sopperire le cosiddette riforme strutturali. Basti solo osservare che i salari nel Mezzogiorno sono già su livelli greci e la bilancia commerciale meridionale continua a essere in profondo rosso. Né si può davvero ritenere che, dopo le derive clientelari sui cui pure opportunamente si sofferma Trigilia, si possano rilanciare le logiche di incentivazione dal basso, i partenariati locali e gli strumenti della programmazione negoziata.
Insomma, il Mezzogiorno ha un disperato bisogno di spesa pubblica di qualità, come sostiene il ministro, ma avrebbe un altrettanto disperato bisogno di maggiori risorse, anche per praticare tagli non irrisori del cuneo fiscale. Il tutto da inserire in un rinnovato quadro di politiche industriali che provasse finalmente a fare compiere al tessuto produttivo un salto tecnologico e dimensionale. Inutile dire che tutto ciò appare solo una chimera nel quadro attuale dei vincoli europei. E qui casca l’asino: perché il primo ineludibile punto di una agenda politica per i Mezzogiorni d’Europa non può che essere la ridefinizione in chiave espansiva delle politiche economiche dell’Unione Monetaria.
di Riccardo Realfonzo
Da: l’Unità, 6 novembre 2013