Che cos’è il populismo? Ne parliamo con Franco Crispini, storico della filosofia e delle idee, già preside della facoltà di lettere e filosofia dell’Università della Calabria. Nei suoi corsi universitari e nei suoi scritti Crispini si è occupato di periodi, autori e temi del pensiero moderno. Tra i suoi libri: L’etica dei moderni. Shaftesbury e le ragioni della virtù, Donzelli, Roma 2001; Idee e forme di pensiero, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; (a cura di), Fontenelle. Della ragione e altro – Opuscoli, Rubbettino, 2007; Profilo dell’osservatore naturalista, Il Melangolo, Genova 2009.
Dirige la collana I dispersi, Pellegrini Editore, nella quale ha curato: F.S. Salfi Elogio di Bernardino Telesio, 2009; Id «Progressioni» dell’Uomo verso la “Civil Società”, 2010; Dott. Pasquale Rossi – Della memoria e dell’immaginazione sociale, 2011.
Nel 2011 è uscito, per i tipi di Pellegrini, il saggio “Del populismo – Indicazioni di letture”, nel quale si è tentata un’operazione di identificazione del populismo, attraverso un’analisi, anche di tipo comparativo, della sua sfuggente fenomenologia. Per capire in quali termini si è venuta ponendo una “questione populismo”, quali sono i suoi nodi più problematici. “Il populismo va comunque osservato e letto possibilmente fuori dalle forme più provvisorie dell’antipolitica che solo superficialmente fornisce ad esso qualche ragione in più”.
Professor Crispini, nel dibattito politico odierno il termine “populismo” è generalmente declinato in un’accezione negativa, come fenomeno antipolitico. È corretta questa interpretazione?
Non ci siamo presi la briga di ricercare sulle rassegne stampa in tutto questo periodo in cui ha visto la luce il nostro libro, quanti soprattutto (e quali) risultati escono con i termini “populisti” e “populismo” ; ha provato a farlo Sofia Ventura (“Non buttiamo il popolo con tutto il populismo”, l’Espesso, 4/10/2912) col risultato di raccogliere per un solo mese e per una area limitata ben 384 risultati. Se non altro, l’insistente ricorso a quei termini dimostra quanto meno che essi nell’agenda politica ed in quella giornalistica sono divenuti indispensabili per dare indicazione quanto meno di una tendenza. Ci si prova continuamente a cercare di capite il perchè si ricorre ad una nominazione di quel genere, quali aspetti di fenomeni reali vengono iscritti in quei termini. E così in un continuo di approcci ( per quelli giornalistici è opportuno ricordare più recentemente: Gigi Riva, “In nome del popolo”, l’Espresso ,n.39, 27 Settembre 2012; Giovanni Belardinelli, “Le tante versioni del populismo- Armato in Russia,rurale negli USA, Ma solo con Peron diventò un regime”, Corriere della Sera –La Lettura,20Gennaio 2013; Sergio Romano, “ Populisti per paura del nuovo”, Corriere della Sera-La Lettura,7 Aprile 2013 ), il populismo, sia o meno una “democrazia del pubblico”, abbia o meno come nemico la modernità, veda o meno la politica come scontro tra il Bene e il Male, denunci o meno le trame occulte di ricchi e potenti (S:Romano), non si manca di rilevarne lati essenziali, in particolare, il volere essere espressione di un legame con sentimenti diffusi, popolari, di estraneità ed ostilità a tanti modi di essere e di strutturarsi delle società contemporanee.Restano non pochi margini di ambiguità che accompagnano le spinte populiste e la loro convivenza con i sistemi politici democratici. Il populismo va comunque osservato e letto possibilmente fuori dalle forme più provvisorie dell’antipolitica che solo superficialmente fornisce ad esso qualche ragione in più.
È possibile dare una lettura univoca del “populismo”, al di là dei contesti nazionali e delle epoche storiche?
Lo sforzo che si è fatto e si continua a fare è appunto quello di circoscrivere i significati del populismo,di tener ferma la “mucca pazza”, di guardare non da tutti i possibili lati una “idra dalle cento teste”, di riportare insomma su un terreno più fermo un fenomeno sfuggente, preso soprattutto come una somma di negatività, di ricondurlo ad una idea che lo definisca chiaramente anche per quanto ne può caratterizzare la sua opposizione e contrarietà a quelli che sarebbero i “nemici del popolo”. Se appunto vediamo come e contro chi si vuole mettere in piedi una “difesa” del popolo, da dove provengono le maggiore minacce al popolo, e se non ci lasciamo sfuggire per quale popolo c’è la mobilitazione populista, ebbene è possibile anche nel variare dei tempi storici e nella diversità delle ontologie regionali, cogliere delle costanti sulla cui base identificare una “ragione populista”. Oggi ad esempio ci si dovrebbe chiedere quale fascia sociale sente di più come veri traumi gli effetti del cambiamento – globalizzazione, informatica, bioetica – ed avverte anche traumaticamente decisioni economiche dell’Europa, potere della tecnocrazia, immigrazione : si capirebbe di che si alimenta il populismo e contro chi combatte.
Quali sono le sue idee portanti, i suoi connotati strutturali e simbolici prevalenti?
In un mio intervento sul “Corriere della Sera” ( 5 Settembre 2012), ho voluto ancora cercare di fissare un profilo contenutistico e dare una identità sociale del populismo. Rappresentare e rendere protagonista il popolo dei deboli, non protetti, umiliati ed offesi, presi nelle varie situazioni nazionali da un grande scoramento; aprire uno spazio, dare uno sbocco ad un vero fiume carsico di sentimenti e risentimenti (afflizioni, umiliazioni, delusioni9, proteste) della gente comune che si sente offesa da un consorzio sociale escludente tutti quelli che non contano, costretti a subire regole non decise da loro. E’ quel che si ritrova nelle viscere del populismo. A qualche idea portante e strutturale abbiamo già accennato, quella ad esempio sulla quale si è soffermato anche Sergio Romano: il rifiuto di quanto vi è di costrittivo e insidioso nei processi della modernizzazione e delle innovazioni che comportano, nelle sospettosità verso i formalismi delle regole democratiche. Abbiamo avuto modo di ripensare in un altro nostro intervento (“Corriere della sera”,9 Novembre 2012, “L’Acropol”, rivista di Giuseppe Galasso, 2/ Marzo 2013)), alle vicende teoriche che annodano tra loro postmodernismo, antilluminismo, populismo, sempre nell’intento di fare emergere meglio una fisionomia più attendibile del populismo. Come si vede non finisco mai di occuparmi di questo problema nella sue molte sfaccettature.
Veniamo al rapporto tra populismo e democrazia rappresentativa. Possiamo parlare di compatibilità o di conflitto?
Quanto al rapporto democrazia-populismo, è fiorita una letteratura critica di grande ampiezza negli anni tra il secondo Novecento e quelli più vicini a noi, mano a mano che la caduta delle ideologie, la crisi del sistema dei partiti ed altri pilastri reggenti, hanno prodotto fattori di indebolimento, di lacerazione, di conflittualità interna se non proprio determinare una “incompatibilità” tra modalità democratica e istanze popolari ( populistiche). Nel vasto panorama di diagnosi e terapie circa l’impatto del populismo sui sistemi di democrazia rappresentativa, da ultimo è utile vedere quel che ne scrive Tzevetan Todorov ( Les ennesi intimes de la dèmocratie, Laffont, Paris 2012 ). Il populismo viene ad essere un “cancro” e al tempo stesso un “toccasana” della democrazia : da un lato si mette il dito sui disfunzionamenti del sistema democratico, se ne accelerano i processi di decomposizione, dall’altro si generano impulsi a rafforzamenti e rigenerazioni nella direzione di una partecipazione più diretta del “soggetto popolo”. Incorporare le rivendicazioni populiste negli ordinamenti democratici è una partita difficile da non giocare dal lato di posizioni demagogiche bensì da quello di politiche “inclusive” capaci di attutire gli urti di un sistema in mano a caste ed èlite su di un sentire comune lasciato a se stesso ed ai propri stati di esacerbazione. E’ necessario però non incorrere in alcun pregiudizio , ritenendo che “quando dal popolo emergono ragionamenti ragionevoli sono popolari.. Se non ci piacciono sono populisti”(J.Leca).
C’è un rapporto davvero stringente tra l’attuale crisi economica e sociale e l’affermarsi di nuove forme di populismo?
Che le acute crisi economiche e sociali, in passato come oggi, creino un terreno di coltura per il populismo, che soffino sul fuoco, che ne diversifichino e varino gli elementi messi in campo, è cosa che anche attraverso una mappa delle localizzazioni europee ed extraeuropee dei movimenti populisti per l’Otto-Novecento e per i nostri giorni, si potrebbe fare con una certa facilità. Conta molto su quali strati sociali va a colpire la crisi che si attraversa, quali capacità di uscirne hanno le singole società, quale è la capacità di resistenza degli assetti democratici, quali leader si fanno interpreti di una anonima rivolta delle vittime sulle quali duramente e violentemente si fanno sentire gli effetti della crisi : in questo magma sono le radici di un populismo spinoso e ambivalente. Non c’è tuttavia un problema di come da Paese a Paese, da situazione a situazione, si evolva il populismo; cambiano certo i mezzi di coagulazione di una opinione diffusa definibile come populista, ma non altro nel senso che si mantiene costante una inclinazione di fondo che ora viene irruentemente alla superficie, ora ristagna e ribolle. Nel nostro Paese, in questi anni, abbiamo potuto vedere come da Bossi a Berlusconi a Grillo si è venuto configurando il populismo : ora Galli Della Loggia ci ha anche dato un “ Atlante populista italiano”, ma con questo si aprono altri discorsi.
Un’ultima domanda, professore: c’è una relazione, secondo lei, tra il peso sempre più preponderante della rete nella comunicazione e nelle stesse relazioni politiche e la crescita dei fenomeni populisti nelle nostre società?
Con questa ultima domanda relativa a nuovi scenari populisti che possono aprirsi col Web, con la Rete, si deve dire che è un altro capitolo importante che si è cominciato a scrivere. La Rete è un veicolo che contribuisce a diffondere e moltiplicare sospetti, ansie, diffidenze che provengono da una folla che vuole farsi avvertire, che lancia i suoi messaggi per bloccare le logiche perverse dei potenti che schiacciano gli umili, che scrivono a loro modo la storia del mondo. Nel populismo che viene dal Web, dalla Rete, trova posto in primo luogo una domanda di democrazia digitale ( come viene chiamata) , diretta, fuori dai canali tradizionali. E può esprimersi poi un bisogno apocalittico di demolizione delle impalcature della politica. Indubbiamente il populismo contemporaneo si nutre di questo abbattimento di ogni limite alla comunicazione e può operare su di uno spazio più esteso di interrelazioni: il soggetto-popolo viene ad essere più e rafforzato, ha più voce, ha maggiore spessore rispetto alla sua stessa rappresentanza.
di Luigi Pandolfi
Da: www.calabriaonweb.it