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L’irragionevolezza della legge Bossi-Fini*

(…)Com’è noto, l’attuale legislazione in materia, che porta, insieme a quello di Gianfranco Fini, il nome del leader della Lega Umberto Bossi, prevede che il permesso di soggiorno si conceda solo allo straniero che abbia già un contratto di lavoro nel nostro paese.

Con questa legge, dunque, si impedisce agli extracomunitari di venire in Italia per cercare un lavoro, come sarebbe logico e normale, ma potranno entrare nel nostro territorio solo quelli che saranno in grado di esibire un contratto già stipulato.

Una norma, inutile dirlo, che crea problemi non soltanto per i nuovi ingressi, ma anche per chi è già in Italia e, per cause non imputabili alla sua volontà, si trova a perdere la propria regolare occupazione. Una norma ingiusta, evidentemente, che favorisce, in molti casi, il ritorno ovvero l’approdo alla clandestinità.

Con il varo del cosiddetto Pacchetto sicurezza nel 2009, le clausole di limitazione degli ingressi e dei soggiorni sono diventate ancora più draconiane, cosicché la stessa clandestinità è finita per essere considerata un reato.1 Sulla punibilità di tale reato ci sarebbe molto da discutere. Quel che è certo è che proprio l’equiparazione della condizione di clandestinità ad una fattispecie di reato può favorire il rapporto tra immigrazione e condotte criminali. Un circolo vizioso, insomma, che la dice lunga sull’aderenza di taluni provvedimenti, di certe prese di posizione, alla realtà.

Ma poi: se è vero che, come abbiamo visto, gli immigrati che lavorano nelle nostre case, nelle nostre fabbriche, nei nostri campi, sono assolutamente indispensabili per la tenuta della nostra economia, e la stragrande maggioranza di essi, quelli almeno venuti in Italia ormai anni addietro, prima di trovare un lavoro, ricongiungersi con i familiari, “regolarizzarsi” insomma, hanno vissuto, sulla propria pelle, il dramma del vivere in clandestinità, l’esasperazione del concetto di lotta a quest’ultima perde ogni fondamento logico, riducendosi evidentemente ad una mera espressione ideologica.

Gli anni avvenire aggraveranno notevolmente lo squilibrio demografico col quale già l’Europa è costretta a fare i conti. L’Italia in questa cornice non sfuggirà alla regola generale.

Da studi fatti, pur prevedendo, entro il 2050, una nuova immigrazione di 40 milioni di persone, la popolazione totale dell’Europa subirà comunque una diminuzione di circa 7 milioni di unità. Non solo: nello stesso periodo si prevede che alla popolazione europea verranno a mancare oltre cinquanta milioni di persone in età da lavoro.

Questa previsione ci dice che nei prossimi decenni l’economia dei paesi europei, Italia compresa, sarà sempre più immigrato-dipendente, più di quanto lo sia già oggi.

Oggi come domani il problema dell’immigrazione dovrà essere affrontato, pertanto, con lucido realismo, tenendo conto, oltre che degli aspetti umani del problema, comunque importantissimi, degli interessi materiali delle nostre società, delle nostre economie. Va da sé che affrontare la questione dell’immigrazione cavalcando paure, agitando fantasmi, non solo fa male alla nostra civiltà, ma anche al nostro futuro.

Una politica responsabile su questo versante è quella che contemperi una regolare, disciplinata, gestione degli ingressi nel paese, anche per ragioni di sicurezza, all’esigenza di immettere nel mercato del lavoro manodopera, specializzazioni, competenze che possono solo far bene alla nostra economia. Senza trascurare, quale principio di civiltà, il diritto dei migranti ad una vita migliore. Quel diritto che gli italiani hanno rivendicato, difeso, in più di 150 anni di emigrazione, europea e transoceanica.

Veniamo, a questo punto, al secondo rilievo, quello che afferisce ai fenomeni criminali che vedono protagonisti immigrati extracomunitari. Tutti gli studi effettuati negli ultimi dieci anni dimostrano che il cosiddetto “tasso di criminalità” fra gli immigrati regolari è praticamente uguale a quello che si riscontra nella popolazione italiana, l’1,40 contro l’1,23%.

Come a dire: gli immigrati delinquono nella stessa misura degli italiani. Ovvero, rovesciando i termini del discorso: sapete che nella nostra società delinquono anche gli immigrati? Una scoperta dell’acqua calda, verrebbe voglia di dire, se non fosse che, proprio su questa problematica, si scatenano da qualche anno le tensioni più apprezzabili a livello politico e sociale.

I numeri subiscono invece una variazione, abbastanza significativa, se ad essere considerata è la popolazione degli “irregolari”: sono 8 su 10, generalmente, gli immigrati “irregolari” sul totale degli stranieri denunciati ogni anno.

E però anche questo dato non dice tutto della situazione: molti dei cosiddetti “irregolari” colpiti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria hanno commesso “reati” legati alla loro stessa condizione di irregolarità, secondo quanto prevedono le recenti norme in tema di incriminazione per stato di clandestinità. Quest’ultima, come abbiamo visto, favorita molto spesso dalle stesse clausole della legge vigente in materia di immigrazione, che subordina il diritto a soggiornare legalmente sul territorio nazionale all’esibizione di un regolare contratto di lavoro.

Diamo allora uno sguardo ai dati relativi ad alcune tipologie di reato che maggiormente creano, nell’immaginario collettivo, un rapporto di identificazione col fenomeno dell’immigrazione, incominciando da quello più odioso: lo stupro.

Secondo una recente indagine dell’Istat, ripresa dai principali giornali e riviste nazionali, il 90% degli stupri che si consumano annualmente nel nostro paese sono compiuti da italiani. Sempre secondo l’istituto di statistica, il 69% vedono protagonisti partner, mariti o fidanzati. Le mura domestiche costituiscono solitamente la location principale di questo tipo di reati. D’altro canto non potrebbe essere diversamente, vista la sproporzione tra popolazione di immigrati e popolazione italiana. Ma questo non costituisce un’aggravante a carico degli stranieri, piuttosto la dimostrazione che anche in questo caso non è possibile fare un’equiparazione tra immigrazione e delitto di violenza sessuale.

Per tutti gli altri reati di maggiore allarme sociale, a cominciare dalle varie tipologie di furto, negli ultimi anni si è avuto un calo considerevole delle denunce a carico di immigrati, regolari o irregolari che fossero. Stando agli ultimi dati di fonte ministeriale, nel 2009 gli stranieri denunciati sono stati 260.883, su un totale di 823.406, dato che farebbe registrare un calo del 13,9% rispetto al 2008. Con la sola eccezione dei furti in esercizi commerciali, dal 2008 al 2009 si sarebbe avuta una sensibile diminuzione dei denunciati stranieri per i furti in abitazione, -31,9%, per le rapine in banca, -24,4%, per le rapine in abitazione, -18,9%.

Con un dato inequivocabile: il tasso di criminalità degli stranieri è inversamente proporzionale a quello del numero di permessi che vengono rilasciati. Più alto è il numero dei soggiornanti regolari, più basso è il numero dei delitti che vengono consumati.

Anche questa un’ovvietà, che però molto spesso viene ignorata, prediligendo atteggiamenti di ostilità preconcetta nei confronti del fenomeno immigrazione, per ignoranza o cinico calcolo politico. (…)Favorire la “regolarità” dei soggiornanti, senza le clausole restrittive, capestro, dell’attuale legislazione in materia di immigrazione, sarebbe ordunque una via da perseguire. Un immigrato regolare che perde il lavoro e, di conseguenza, il permesso di soggiorno, scivolando verso una condizione di effettiva e drammatica clandestinità, sarà più esposto al rischio di compromettersi con azioni criminali.

Meglio un immigrato disoccupato, e al tempo stesso libero dal disagio della clandestinità, dunque, che un potenziale criminale; meglio essere liberi di cercare un lavoro, che essere costretti a delinquere per tirare a campare. Un’altra ovvietà. (…).Vi ricordate la nave albanese Vlora, quella che l’8 agosto del 1991 approdava al porto di Bari carica di ventimila disperatati provenienti dal paese delle aquile? Sicuramente sì. L’immagine di quella carretta zeppa di persone, ammassate che sembravano formiche, ha fatto il giro del mondo: è diventata l’immagine simbolo non solo della prima ondata migratoria da quel paese verso l’Italia, ma, evidentemente, anche l’emblema del fallimento di un regime che si era ispirato, in maniera del tutto singolare, ai principi del comunismo.

Bene. Su quella nave c’era un’umanità varia: non saprei dire quanti di quei disperati si renderanno protagonisti di crimini e misfatti. Quel primo esodo riguardò anche delinquenti comuni, evasi dalle carceri a seguito del crollo del regime. So però che tra di loro c’era chi nel nostro paese conoscerà ben presto una vita migliore e qualcuno anche il successo.

Della prima categoria ne ho conosciuti tanti, alcuni sono anche miei amici. Per quanto riguarda la seconda, un esempio noto ai più è quello di Kledi Kadiu, il ballerino divenuto famoso grazie alle trasmissioni televisive di Maria De Filippi.Kledi Kadiu non aveva un contratto di lavoro in Italia, benché allora la normativa era diversa da quella attuale e non prevedeva quella clausola capestro, ma solo la speranza di migliorare la propria esistenza. Un caso su ventimila, certo. Ma paradigmatico di una condizione di partenza che accomuna tutti i migranti.

Nel 2009 ha scritto un libro, un’autobiografia, che ha voluto intitolare “Meglio di una favola. La mia vita”. Un titolo che non ha bisogno di commenti. Se Kledi Kadiu fosse entrato nel territorio dello Stato italiano dopo l’entrata in vigore del Pacchetto sicurezza, la sua sorte sarebbe stata ben diversa. Come la sorte di tanti suoi connazionali che in questi anni hanno stabilizzato in Italia le loro famiglie, hanno trovato un regolare lavoro, magari hanno aperto una partita iva. Incriminati per il reato di immigrazione clandestina, avrebbero dovuto fare i conti con campi di detenzione, pene pecuniarie ed espulsione.

Mentre chiudo questo punto, leggo da un’agenzia che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo del Pacchetto sicurezza “nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento sia punita nel solo caso che abbia luogo senza giustificato motivo”. In altri termini ha stabilito che lo straniero che si trova in un “estremo stato di indigenza” non è punibile in caso di non obbedienza all’ordine di allontanamento o di espulsione dall’Italia. Una buona notizia, che mitiga gli effetti di una norma palesemente ingiusta, disumana.

Leggo il giorno dopo l’apertura de La Padania: “E ora la Consulta vieta le espulsioni. Incredibile sentenza della Corte Costituzionale che ritiene illegittimo il rimpatrio dei clandestini indigenti. Il buonismo consente a chi non ha lavoro e tira a campare con espedienti di continuare a delinquere”.

Sconcertante. Il segno di una profonda decadenza della politica italiana. O forse solo di una parte di essa, fortunatamente. Certamente l’impronta tangibile di un gigantesco paradosso: contrastare un fenomeno che, a parte ogni argomento sulla civiltà di un paese, è assolutamente funzionale agli interessi di un territorio che si pretende di difendere e rappresentare (…)

di Luigi Pandolfi

*Tratto da Lega Nord, Un paradosso italiano in 5 punti e mezzo (Laruffa, 2011)

 1 La Legge 15 luglio 2009, n. 94, parte del c.d. Pacchetto sicurezza, introduce il reato di immigrazione clandestina, che prevede un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro per lo straniero che entra illegalmente nel territorio dello Stato..Il provvedimento prevede anche dei limiti ai matrimoni di interesse: per acquisire la cittadinanza italiana non sarà più sufficiente la semplice effettuazione del matrimonio ma occorrerà che il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica (ovvero tre anni se la residenza è invece all’estero); nuove norme in materia di occupazione del suolo pubblico; misure di contrasto all’impiego di minori nell’accattonaggio;misure in materia di confisca dei beni di provenienza illecita; la possibilità per i sindaci di avvalersi della collaborazione di associazioni, formate principalmente da ex appartenenti alle forze dell’ordine, di cittadini non armati in grado di segnalare casi di disagio sociale o che rechino pregiudizio alla sicurezza ( le famose ronde); l’ estensione della permanenza nei Cpt, rinominati “centri di identificazione ed espulsione” dal Decreto Legge 23 maggio 2008) fino ad un massimo di 180 giorni. (Altalex, 27 luglio 2009).

Scritto da Redazione

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