La grande spianata in Sardegna colma di lavoratrici, lavoratori, disoccupati, giovani ad ascoltare le parole di papa Francesco, che parla di lavoro e di dignità. Di come non può esserci l’uno senza l’altra e viceversa. La prima parte della nostra Costituzione, insomma. Da un lato. Dall’altro le immagini impietose dello sfarinarsi dell’assemblea dei democratici paralizzata nelle decisioni, avvitata sulla assurda questione se un segretario debba essere necessariamente candidato a premier e viceversa. Intanto titoli di coda danno notizia della vendita della Telecom alla spagnola Telefonica e del fallimento del “salvataggio” berlusconiano di Alitalia, pronta a diventare un’articolazione di Air France. Non so se chi sapesse montare queste scene in un unico filmato potrebbe concorrere al Leone d’Oro per l’anno prossimo, ma certamente darebbe la rappresentazione visiva e concettuale più efficace del degrado politico di quella che un tempo era sinistra, del declino industriale del nostro paese, della speranza in un cambiamento che malgrado tutto anima le nostre popolazioni. Se quella che fu sinistra è totalmente incapace di parlare di lavoro e dignità, di diritti dei migranti e di solidarietà, non ci si lamenti poi se le parole del papa hanno anche il sapore di una captatio benevolentiae. Come non hanno molto senso le solite critiche che imputano alle parole del pontefice il difetto della genericità, quasi che competesse a papa Francesco di entrare nel merito di un programma rivendicativo. Anzi. Non lasciamo perdere l’occasione perché su questi temi si crei una nuova convergenza fra credenti e laici. Questo mi sembra il senso profondo della bella intervista comparsa in questo sito a Raniero La Valle. Ma, al di là di questo, l’appuntamento del 12 ottobre corre un rischio che tutti insieme dovremmo evitare. Bisogna essere espliciti su questo punto, altrimenti si corre il pericolo di un grave insuccesso. Il rischio è quello di una separazione delle tematiche democratiche e costituzionali da quelle sociali. La proclamazione nello stesso mese di ottobre di altri appuntamenti dedicati ai temi della lavoro e della casa, separati e, per usare un eufemismo, scarsamente comunicanti con quello del 12, sottolinea il pericolo che stiamo correndo. E’ già accaduto nel passato. Si potrebbe dire, ora che possiamo fare un bilancio quasi ventennale, che tutta la lotta contro il berlusconismo ha sofferto di questa separazione o quantomeno di un incontro difficoltoso e pieno di equivoci e reciproci sospetti, fra chi si batteva per la legalità e la giustizia repubblicane e chi, per scelta e/o per necessità, privilegiava i temi della condizione dei lavoratori e dei disoccupati, dei giovani precari e della mancanza di abitazioni e servizi sociali. Questo iato ha facilitato la possibilità per i berluscones di giocare la carta del populismo. Cosa che tuttora stanno facendo. La scesa in campo in particolare della Fiom in prima persona, quale soggetto e organizzazione sociale portante dello schieramento antiberlusconiano, ha solo in parte ovviato a queste divisioni e incomprensioni, visibili anche fisicamente nella separazione di cortei e manifestazioni. Quando non si è trattato addirittura di polemiche contrapposizioni nei contenuti, nelle parole d’ordine, nelle modalità delle proteste. La manifestazione del 12 ha quindi un problema di qualità, prima ancora che di quantità, poiché quest’ultima dipende dalla prima. Se il messaggio che passa è solo quello della legalità e dell’osservanza costituzionale è troppo poco per mobilitare ampi settori popolari. Nella più recente conferenza stampa tenuta dai cinque promotori, Landini ha fatto bene a dire con forza che non ci si mobilita per difendere la Costituzione – non solo – ma per applicarla integralmente. Intendendo quindi che parti di essa sono rimaste lettera morta e altre sono sotto tiro sul piano della organizzazione materiale della società prima ancora che su quello dei testi scritti. Queste parti riguardano tutte, o in modo assolutamente prevalente, i temi sociali. In primo luogo quelli del lavoro; della rimozione degli ostacoli a trovarne uno dignitoso – che ci porta dritto al tema del reddito di base -; degli istituti del welfare state; della loro gratuità e universalità; dell’equa retribuzione; della democrazia nei luoghi di lavoro; del diritto ad una vita dignitosa sotto ogni aspetto che incrocia il diritto all’abitare; della difesa dell’ambiente e del paesaggio che contrasta con le megaopere distruttive come la Tav. Punti fondanti della nostra Carta Costituzionale che sono minati dalle politiche economiche dell’austerity decise contro ogni buon senso in Europa, ma pedissequamente applicate, anche con eccessi – come nel caso della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, ai tempi di Monti – , dalla maggioranza delle larghe intese e dal suo governo. Non si tratta di affogare la manifestazione del 12 ottobre in un universalismo rivendicativo indistinto, né di caricarla di toppe attese e responsabilità, ma avere la consapevolezza che l’attaccamento alla nostra Costituzione che gli italiani hanno già dimostrato nel 2006 sconfiggendo il disegno del premierato (che i cosiddetti saggi vorrebbero riproporci pari pari), è fatto di molti, differenti ma potenzialmente convergenti sensibilità e bisogni. Tutte queste sensibilità e tutti questi bisogni devono e possono concorrere alla piena riuscita di un appuntamento così ambizioso, la cui riuscita sarà frutto solamente dell’autorganizzazione, e devono rendersi visibili nella fisionomia della manifestazione e nei contenuti dei discorsi che animeranno la sua fase conclusiva in piazza del Popolo.
di Alfonso Gianni
da: temi.repubblica.it/micromega-online/