Il fondatore di Wikileaks necessita d’una linea difensiva più aggressiva.
di Stefano Zecchinelli
La persecuzione giudiziaria – unita alla tortura psicofisica – di Julian Assange pone seri problemi giuridici riguardanti l’involuzione delle democrazie nell’epoca tardo-capitalista. La giornalista islandese Kristinn Hrafnsson, caporedattore di Wikileaks e tre volte, nel suo paese, giornalista dell’anno, all’uscita dal Tribunale di Westminster ha chiamato in causa lo stato profondo USA: “Gli Stati Uniti hanno deciso che tutti i giornalisti stranieri, che includono molti di voi qui, non otterranno protezione ai sensi del primo emendamento della Costituzione” . Il giornalismo investigativo, quello che si mette della parte dei cittadini contro le manipolazioni dell’oligarchia ultra-borghese, è in pericolo (seguendo la Hrafnsson):
“Non è su Julian Assange, riguarda la libertà di stampa, quindi abbiamo a che fare con un caso politico, la persecuzione politica di un giornalista e un grave attacco alla libertà di stampa in tutto il mondo. Emerge da ciò che prima di tutto gli Stati Uniti d’America non sono disposti a riconoscere il primo emendamento ai giornalisti stranieri, un annuncio che suona come una dichiarazione di guerra per la comunità internazionale dei giornalisti.”
I neoconservatori hanno stilato, dopo l’11 settembre del 2001, l’agenda per la guerra globale – Progetto per un nuovo secolo americano – prendendo di mira l’Islam sciita, la Cina popolare ed i governi progressisti latino-americani; criminalizzare le critiche all’imperialismo, è il primo passo dei neocons per assicurarsi l’impunità. L’essenza stessa del diritto internazionale, così facendo, viene messa in discussione.
Essere una fonte giornalistica non significa essere spie
Le accuse contro Assange sono state costruite dalla CIA, i settori più guerrafondai dello stato profondo anglo-statunitense. Secondo l’avvocato Glenn Greenwald: ‘’Il giornalismo non è spionaggio. Essere una fonte giornalistica non significa essere spie. E pubblicare informazioni che mettono a nudo la cattiva condotta del governo o i crimini di guerra non è spionaggio. Quando il giornalismo viene trattato come un crimine, siamo tutti in pericolo. L’accusa di Assange non è la fine della saga di WikiLeaks. È l’inizio di un grosso assalto alla libertà di stampa’’ . Greenwald vive da diversi anni in Brasile collaborando con diverse organizzazioni neo-laburiste (PT, PSOL e Ciro Gomes), gestisce il sito d’inchiesta The Intercept ed ha smascherato le trame dei fascisti evangelici contro l’ex presidente Lula. Non è casuale che Trump l’abbia preso di mira.
Fonti istituzionali (anche italiane) danno ragione al giornalista australiano. Il generale Fabio Mini, una fonte non sospettabile di simpatie antimperialiste, sostiene che: “La vicenda di Assange, le accuse più disparate, il trattamento iniquo e le violazioni dei diritti umani che ha dovuto subire dimostrano come le cosiddette ‘grandi democrazie’ occidentali -in particolare, Stati Uniti e Gran Bretagna- non hanno rispetto delle persone e nemmeno delle loro stesse leggi”. Una accusa pesante che, con o senza BREXIT, mette in discussione la tenuta democratica dell’Inghilterra, nazione sprofondata nell’oscurantismo neoliberista. Il seguito è ancora più pesante:
“Non occorre essere complottisti -prosegue il generale- per riconoscere che l’accanimento contro Assange è dovuto a un solo, grave, delitto: aver detto la verità. E, ancor peggio, non aver aggiunto nulla di suo a quanto americani e inglesi affermavano e facevano in spregio a qualsiasi ‘umanità’ e logica, in guerra e in pace, con i nemici e gli alleati. Ma se la persecuzione di questi ‘paladini della libertà e della democrazia’ non stupisce, è invece assordante il silenzio che tutti gli altri Stati mantengono da anni, invece di insorgere non soltanto per ciò che sta accadendo ad Assange, ma per ciò che si è limitato a rivelare”.
Sul banco degli imputati dovrebbero finire George Bush e Tony Blair, gli esecutori della linea neocons ‘’distruggere l’Iraq ed inventarsi una nuova nazione’’. La formula del caos creativo, ispirata al pensiero di Thomas Hobbes, mira alla distruzione del mondo non globalizzato, una forma inedita d’imperialismo molto più cinico del colonialismo tradizionale e dell’estrema destra sionista. Assange è innocente.
Il diplomatico Angelo Bradanini si dimostra sorprendentemente radicale chiamando in causa, con un linguaggio (quasi) marxista, il capitalismo dei disastri: “La sua prigionia ingiustificata testimonia la pretesa di dominio imperiale dell’élite americana, che teme la verità ed è in preda al panico per il fatto che comuni cittadini possano conoscere trame oscure, corruttele e manipolazioni politiche e mediatiche messe in opera da quella che si autoproclama la ‘più grande democrazia del mondo”; “ricevuti senza violare alcuna norma, ma solo svolgendo la professione di giornalista -prosegue il diplomatico italiano- Assange ha mostrato come operino strutture Usa occulte o semiocculte. Queste dispongono di ingenti risorse finanziarie e tecnologiche, con cui raccolgono dati su nemici e amici, finanziano tensioni, aggressioni politiche ed economiche, ‘rivoluzioni’ e conflitti contro nazioni, organizzazioni, imprese o individui che non si sottomettono al loro potere. Tutto ciò a beneficio di una minoranza, la plutocrazia dell’1% contro il 99% di una popolazione precarizzata ed eticamente manipolata, che alimenta il mito della ‘nazione indispensabile’, voluta da Dio per governare un mondo recalcitrante”. Le establishment hanno esautorato i popoli del potere decisionale imponendo, a chi non si genuflette, sanzioni, rivoluzioni colorate e bombardamenti umanitari (es. Jugoslavia). Il capitalismo ha una struttura piramidale, infatti (cito il diplomatico) comanda ‘’la plutocrazia dell’1% contro il 99% di una popolazione precarizzata ed eticamente manipolata, che alimenta il mito della ‘nazione indispensabile’, voluta da Dio per governare un mondo recalcitrante’’. Una accusa netta che proviene da un rappresentante diplomatico, in Iran e Cina, di primissimo rilievo; l’economia neo-monopolistica è inseparabile dalla guerra.
La necessità di una difesa più efficace
Il giornalista Aymeric Monville, editore francese di Delga Editions e autore di Julian Assange en Danger de Mort di ritorno dall’Inghilterra ha scritto un articolo intitolato Conflitti di interesse nella difesa di Assange: aspettiamo spiegazioni, nella rivista online Initiative Communiste. L’ottimo Monville segnala che gli avvocati di Assange sembrano aver accettato l’impianto accusatorio dello stato profondo anglo-statunitense, limitando la difesa ad una questione di rispetto dei diritti civili. Leggiamo dall’articolo in questione, ripreso ed approfondito da Roger Keeran (traduzione di resistenze.org):
Altri aspetti della situazione giuridica di Assange sembrano alquanto irregolari. Ad esempio, c’è il silenzio assoluto della difesa di Assange “per quanto riguarda l’addebito della violazione della libertà vigilata. Apparentemente, gli avvocati hanno rinunciato a fare appello contro la reclusione di Assange per violazione della libertà condizionale a causa di una strana mancanza di tempo e risorse per la preparazione”. Secondo Monville, “questo rifiuto di appellarsi ha anche suscitato commenti ironici da parte del giudice nel caso, giudice Baraister lo scorso settembre”.
La cosa più inquietante di tutte è la mancanza di attenzione per la salute di Assange. Secondo Monville, Assange sta soffrendo di “tortura a causa dell’isolamento”. L’esperto di tortura delle Nazioni Unite, Nils Melzer, e il diplomatico britannico Craig Murray, che ha indagato su casi di tortura in Uzbekistan, hanno concluso che “Assange viene torturato sotto i nostri occhi”. Il 21 ottobre, Assange aveva difficoltà a ricordare anche la sua data di nascita.
L’obiettivo principale del team legale di Assange sembrerebbe di “preservare ciò che è più importante, a partire dall’integrità fisica e mentale del cliente”. Monville afferma: “Approviamo la richiesta fatta da Gareth Peirce [avvocato]… il 18 novembre per fornire a Julian Assange un computer funzionante. Tuttavia, non vi era spazio per ulteriori richieste? Perché la difesa non fa nulla per liberare Assange per motivi di salute, quando è stato possibile addirittura per il dittatore Pinochet.”
I sostenitori del fondatore di Wikileaks devono impugnare queste irregolarità portando in strada il maggior numero possibile di attivisti; una commissione di 60 medici ha concluso “La situazione medica è quindi urgente. Non c’è tempo da perdere”. Se Assange non dovesse farcela, il totalitarismo neoliberale (così lo chiama Noam Chomsky) consoliderebbe la dittatura (morbida) del ventunesimo secolo.