“Quella che si è appena celebrata è stata una Festa della Repubblica sottotono”. E’ questo il commento che si è sollevato da più parti nella ricorrenza del 2 giugno, e che certamente non è peregrino. La Repubblica, inutile usare panegirici, è oggi drammaticamente lontana anni luce da quella descrittaci solennemente nella nostra magna carta costituzionale.
Essa ha smarrito il suo ruolo, è evidente. Gli istituti di democrazia rappresentativa ne sono stati negli ultimi trent’anni e ne sono sempre più oggi il vero “vulnus”, e con essi la politica.
L’incapacità di dare risposte concrete, tangibili, che entrano nella carne viva dei cittadini, è divenuta un tratto costitutivo della res pubblica dei giorni nostri. Una prassi democratica spesso affidata maldestramente dai cittadini ad una classe dirigente politica che ha manifestato tutte le sue contraddizioni, il suo essere scissa dai bisogni reali della gente comune, dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei lavoratori, dei professionisti.
E’ stato un lento ma inesorabile allontanamento dai principi costituzionali. E così oggi il dramma sociale che il nostro Paese vive è tanto evidente quanto preoccupante. E lo è maggiormente per i più deboli perché in questi più di 60 anni il demerito più evidente della nostra Repubblica è stato quello di aver alimentato esponenzialmente i divari tra ricchi e poveri. Certo essa ha avuto meriti straordinari. Nessuno può dimenticarli. La scuola pubblica, La sanità pubblica, i diritti dei lavoratori. Eppure ognuna di queste conquiste con l’avanzare inesorabile del tempo è stata messa in discussione, sotto accusa. E questo avere messo in dubbio elementi fondanti della nostra Carta ha finito per creare la suggestione di politiche scellerate che oggi ci consegnano un’Italia con il 41% della disoccupazione giovanile, con un sistema sociale ed economico al collasso.
E la politica in tutto ciò? Continua a tentennare, a tergiversare. Mai un’azione decisa e netta. Sempre il manto della complicazione. Mai un sì vero o un no forte. Una politica fondata sui “ni”. Una politica che fa e disfa, che dice e non dice. E da questo metodo tanto in voga non sono esenti neanche quei movimenti che della critica al sistema avevano fatto un tratto distintivo del loro stesso essere. Per riformare la Repubblica abbiamo bisogno di un nuovo patto tra cittadini e politica. Abbiamo bisogno che la politica venga riaffidata dai cittadini ai più lodevoli, ai più preparati, ai più pronti a scelte nette e radicali. Eppure questo non avviene, quasi mai. Generalizzare, ovviamente, è sempre un errore ma qui serve per descrivere un sistema di cose. Esistono tanti bravi rappresentanti dei problemi della gente, nonostante quello che qualcuno vuol far apparire furbescamente.
Pur tuttavia, questa nostra Repubblica ha bisogno di essere rimmersa nelle acque battesimali dell’assemblea costituente e di quei nobili valori. Tutti sanno che il nostro articolo 1 è pienamente disatteso. Ma nessuno affronta tale problema. Se il lavoro è stato posto a base della nostra Costituzione un motivo ci sarà e quel motivo occorre riprenderlo in mano e far di tutto perché sia attuato totalmente, urbi et orbi. In questo ultimo decennio né i governi di centrodestra né quelli di centrosinistra, che pur hanno governato per molto meno tempo, né i tecnici sono riusciti in tale intendimento. Oggi un sistema di larghe intesa ha inteso provare ad assolvere a questa sfida, stante la indisponibilità di formare un governo di rottura da parte di chi aveva incarnato quel cambiamento voluto da tanti cittadini che a quella parte politica avevano dato consenso proprio per andare ad incidere nelle scelte e non per stare sull’Aventino della storia di questi anni futuri. Non so se stavolta sarà possibile ridare senso a questa nostra, amata ed odiata ad un tempo, Repubblica.
Da cittadini occorre sperare che ciò che passa il convento oggi sia capace si dare una svolta reale e non più impalpabile al Paese. E noi tutti in questo convento dovremmo impegnarci ad essere sempre più cittadini che partecipano e costruiscono una società migliore altrimenti non ci resterà che pregare affinché la politica da sé sia capace di riprendere il suo ruolo di rappresentanza e di compiere presto, molto presto, scelte che siano finalizzare alla soluzione dei tanti problemi della gente comune, che ormai non riesce più neanche a campare.
di Antonio Palermo