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Luciano Canfora: “Le larghe intese sull’art.138 sono liberticide”

Grecista di fama internazionale, storico dell’età classica, Luciano Canfora è, fra le altre cose, un acuto indagatore del concetto di democrazia, delle sue contraddizioni ed aporie, dello iato fra l’ideale e le sue realizzazioni concrete. Ha accettato di discutere con Micromega dei tentativi in corso di riformare la Costituzione da parte della maggioranza delle “larghe intese”. 

Professore, come giudica la recente approvazione del disegno di legge costituzionale che istituisce il “comitato dei 40” e permette di derogare all’articolo 138 della Costituzione? 

Ovviamente la considero un’iniziativa liberticida, perché l’articolo 138 è una garanzia contro i colpi di mano. La questione fu spiegata bene da Dossetti molto tempo fa, anche se tantissimi politici non l’hanno capita o fanno finta di non capirla. L’art. 138, oltretutto, dimostra la illegalità di qualsiasi sistema elettorale che non sia rigorosamente proporzionale. Il dispositivo previsto richiede infatti una maggioranza qualificata dei due terzi dei parlamentari per operare cambiamenti della Costituzione, in modo da garantire che il processo di riforma rispecchi effettivamente la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini. Siccome i sistemi maggioritari falsano questo rapporto – un partito che incassa il 30% dei voti può anche ottenere una consistente maggioranza degli eletti in parlamento e fare, in teoria, quello che vuole – ecco che l’articolo 138 viene di fatto calpestato da queste regole elettorali. 
Di fronte a tele contraddizione sono i molti a pensare – forti della loro radicata tendenza all’illegalità – di procedere direttamente alla cancellare dell’articolo 138.

I difensori di questa iniziativa fanno appunto notare che con l’articolo 138 non è necessario un referendum confermativo se la riforma viene approvata con una maggioranza di più di due terzi. Con la nuova procedura il ricorso alla consultazione popolare è garantito in ogni caso. 
Non mi pare una grande consolazione. È chiaro che se uno viene messo in carcere c’è sempre la possibilità dell’evasione. Ma sarebbe molto meglio non finirci in prigione. 

Letta ha dato dei «conservatori» ai tanti critici del processo di riforma in corso. Si sente un conservatore? 
Essere conservatori – come una volta spiegò Berlinguer – non è un fatto di per sé negativo: se uno vuole conservare un’istituzione valida è un conservatore che fa una cosa giusta. È fatuo, assolutamente fatuo, bollare qualcuno dicendo “è conservatore”. Secondo questo modo di pensare Mussolini sarebbe un grande rivoluzionario, dal momento che ha stravolto il nostro ordinamento parlamentare con le leggi eccezionali del 1926, le famigerate “leggi fascistissime”. Erano senza dubbio delle leggi innovative! 
Ecco, io propongo di accantonare una volta per sempre questo gioco di parole su conservazione e innovazione. 

Non è forse vero, tuttavia, che sono necessari degli interventi di manutenzione di una Costituzione – come quella vigente – approvata nel lontano 1947? 
Chiaramente ci sono alcuni aspetti della nostra Costituzione che possono essere considerati superati. Ad esempio il famoso bicameralismo perfetto. Fra l’altro non va dimenticato che non sarebbe la prima volta che si interviene su questo punto. Nel 1953, in vista del passaggio dalla prima alla seconda legislatura, fu approvata una legge che accorciava la durata del Senato (inizialmente fissata a 6 anni) onde garantire la simultaneità delle elezioni delle due camere del parlamento. Questa modifica accentuò l’aspetto di “sovrapposizione” dei due rami del legislativo e non ho alcuna preclusione a che si discuta di come intervenire per superare un assetto evidentemente migliorabile. 
Poi c’è la questione del grande numero dei parlamentari. Ma perché il grande numero dei parlamentari è un peso? Perché costano troppo. Perché hanno degli stipendi troppo alti. È chiaro che se fossero pagati in maniera decorosa – e non ad un livello così esagerato – non interesserebbe a nessuno se fossero 200 oppure 600. 
Cerchiamo di considerare le cose con mente lucida e non per formule.

Molte delle proposte attualmente sul tappeto rimandano alla questione dei “tempi delle scelte”: le decisioni politiche – si dice – devono essere molto più rapide di quanto non lo siano ora se vogliono tenere testa ad un mondo dominato da flussi di informazioni – e di capitali – che si spostano da un angolo all’altro del pianeta in pochi decimi di secondo, con un solo “click” sul computer. Crede si tratti di una esigenza giustificata? 
Il problema è di facile soluzione. Demostene diceva: beato Filippo di Macedonia che può decidere tutto da solo, io devo andare di fronte all’assemblea a discutere coi cittadini. 
La via migliore per dare una risposta alla questione che lei ha posto è dunque la monarchia assoluta. Ovvero un regime in cui uno solo decide tutto. Così sarebbe tutto rapidissimo. 
Mettendo da parte l’ironia, è evidente che se la macchina parlamentare attuale funzionasse seriamente, anziché offrire quello spettacolo desolante del parlamento semivuoto mentre parla un solo ministro di fronte a quattro persone, se fosse – dicevo – un sistema funzionante sul serio, il problema della rapidità non sarebbe più un problema. In ogni caso agli adoratori della velocità torno a suggerire l’opzione della monarchia assoluta. 

Fra le forze che stanno contrastando con più determinazione le riforme costituzionali c’è il Movimento Cinque Stelle, cioè una formazione lontanissima da quella “cultura parlamentarista” sottesa alle analisi che lei ci ha appena proposto. Il M5S sostiene il primato della democrazia diretta su quella rappresentativa, è ostile al sistema dei partiti…Grillo si è addirittura pronunciato contro l’art. 67 della Costituzione, secondo il quale ogni eletto esercita le sue funzioni in autonomia e «senza vincolo di mandato». Non le sembra un po’ paradossale che sia un movimento del genere ad ergersi a custode della Costituzione? 
Queste escrescenze subculturali sono strutturali in qualunque sistema conceda la libertà di parola, alla quale nessuno di noi vuole rinunciare. Quindi rassegniamoci a sentire delle stupidaggini sapendo che sono tali. Il fatto che quei due ridicoli personaggi – l’ex attore e l’uomo che non va mai dal barbiere – capeggino tanta brava gente che li vota per disperazione è un problema legato all’inadeguatezza dei nostri partiti. Non certo alla giustezza di ciò che dicono quei due. 
Non c’è nessun paradosso: semplicemente sembra che l’attuale maggioranza e i capi del 5 Stelle, pur perseguendo obiettivi diversi, finiscano per incontrarsi. 
Il problema vero – quello che non si ama affrontare – è che purtroppo i poteri effettivi delle istituzioni parlamentari si stanno riducendo a favore di istituzioni localizzate altrove e onnipotenti. Istituzioni che ormai ci ordinano quello che dobbiamo fare. Questo è il vero dramma delle democrazie del continente europeo, specialmente di quelle di paesi subalterni come la Spagna, l’Italia, la Grecia. E nel caso dell’Italia si tratta di una subalternità voluta spontaneamente, non inevitabile. 
Nessuno ama trattare apertamente e con parole semplici questo che dovrebbe essere il nodo cruciale di ogni discussione sulla Costituzione. Rendersi conto di ciò non significa concludere che bisogna “buttare via” i parlamentari e i parlamenti. Significa attrezzarsi per operare in un contesto radicalmente mutato, nel quale i parlamenti nazionali sono stati evirati, svuotati, a favore di organismi non elettivi sempre più invadenti. 
Spesso sentiamo dire da politici e commentari frasi del tipo: non possiamo fare cadere questo governo se no ci saranno ripercussioni sullo spread, si scatenerà una speculazione sul nostro debito pubblico, ecc. Non è forse la dimostrazione più evidente che il potere e la sovranità sono migrati altrove? 
Osservare razionalmente questa realtà significa prendere dolorosamente atto della decadenza dell’istituto parlamentare. Ecco di cosa dovremmo discutere. Non certo delle sparate o delle critiche insipienti di persone più o meno ignoranti.

Se è vero quello che dice lei – cioè se è vero che le nostre sorti dipendono molto di più dalla politica economica europea decisa dalla Merkel (per non scomodare questioni troppo complicate sul ruolo dei mercati finanziari), che dai nostri parlamenti – non sarebbe di aiuto un rafforzamento del governo nazionale? È ai governi cui viene richiesto di sbattere i famosi “pugni sul tavolo” della Merkel o di Barroso o dell’intera Troika… Un mandato più forte conferito all’esecutivo non potrebbe dagli maggiore capacità di manovra?
Così il problema è mal posto. Scartata l’ipotesi – con cui non mi sembra lei possa concordare – di dichiarare la guerra alla Germania, il governo forte non risolverebbe il problema della subalternità se non si chiarisse apertamente che vanno ridiscussi i parametri di Maastricht e i trattati fondamentali dell’Unione europea. Questo è ciò che avrebbe dovuto fare il governo Monti e non ha fatto. Al contrario, ci ha inabissato sempre più nella sudditanza. È evidente che chi è venuto dopo ha così trovato una situazione ormai pregiudicata. 
Ma il problema resta quello. E il non averlo affrontato non significa che il problema non esista più. Già quando ricevette gli ordini contenuti nella famosa lettera di Trichet e Draghi l’Italia avrebbe dovuto mettersi alla testa dei paesi più oppressi e chiedere la ridiscussione dei parametri di Maastricht. Cioè lottare per un’Europa dei popoli e non dei banchieri. Invece abbiamo messo un banchiere a capo del governo, il quale ha semplicemente trasmesso gli ordini degli altri banchieri. 

Non è detto, però, che l’”Europa dei popoli” vada nella direzione da lei auspicata. Per tornare al nostro discorso iniziale, ad esempio, gli italiani si sono già pronunciati – con dei referendum popolari – per il maggioritario contro il proporzionale, per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti… ed è da credere che anche il modello presidenzialista – in un paese di partiti personali – non sia affatto impopolare.
Nel 1953 la gran parte dell’elettorato era contro la “legge truffa” [legge che introduceva un forte premio di maggioranza per la lista, o il gruppo di liste collegate, che avesse raggiunto il 50% dei voti, ndr] e si mobilitò con forza contro di essa fino a farla abrogare. Questa grande reazione popolare fu resa possibile dal fatto che partiti importanti come il Partito comunista, il Partito socialista, il Movimento sociale italiano erano chiaramente contrari e fecero di tutto per bloccare il colpo di mano voluto dalla Democrazia cristiana. 
Venendo a tempi più recenti c’è da osservare che nel momento in cui i giocatori di poker alla testa del Pci-Pds e delle sue successive metamorfosi hanno cavalcato i principi balordi del maggioritario, del presidenzialismo, ecc. sono ovviamente riusciti a influenzare l’opinione pubblica che si radunava intorno ad essi e ai loro strumenti di comunicazione. È il potere delle élites. Non a caso Antonio Gramsci diceva che se le forze dominati perdono le elezioni vuol dire che sono proprio inette. 

di Emilio Carnevali

http://temi.repubblica.it/micromega-online/le-larghe-intese-sullart138-sono-liberticide-intervista-a-luciano-canfora/

Scritto da Redazione

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