“Un tentativo spregevole che non fa altro che farci rafforzare la guerra al terrorismo”. Sono le prime parole del ministro dell’Interno egiziano Mohammed Ibrahim, pronunciate pochi minuti dopo l’esplosione di un’autobomba in una strada nella zona orientale del Cairo che ha colpito un convoglio di veicoli, tra cui la sua auto.
Sette i feriti gravissimi tra i quali non c’è il ministro, rimasto illeso, sebbene secondo alcune fonti la bomba fosse diretta proprio a lui. Si tratta del primo attacco terroristico in Egitto dalla caduta del regime di Hosni Mubarak a gennaio del 2011. Nelle scorse settimane tra le Forze dell’ordine è iniziato tuttavia a maturare qualche sospetto, a causa di piccoli raid armati contro stazioni di Polizia e chiese condotti da gruppi islamisti.
Il post Morsi
Ma è l’intera fase successiva alla caduta di Mohamed Morsi che potrebbe innescare una serie di reazioni a catena difficilmente controllabili. L’arresto di uno dei leader di Al-Qaeda al momento è l’unico movente identificato per l’attentato al Cairo. Ma già nel mese dello scorso luglio uno dei capi dei Fratelli Musulmani aveva detto pubblicamente che la violenza nel Sinai sarebbe terminata solo con la liberazione di Morsi e per questo il timore di nuove ondate di terrorismo si sta diffondendo in tutto il Paese. Il fallito attentato non è stato rivendicato e le prime ipotesi che iniziano a circolare fra gli apparati governativi si basano unicamente su una presunta connesione tra gli islamisti e il luogo dove è deflagrata l’autobomba, ovvero la stessa area, oggi presidiata da posti di blocco straordinari, dove erano stati dispersi i sit-in pro Morsi a metà agosto. Infine all’inizio di questa settimana un poliziotto è stato ucciso in un attacco contro un posto di blocco nella città turistica di Assuan, mentre uomini armati hanno causato un’esplosione davanti a una stazione di polizia nel centro del Cairo, ferendo due civili.
Prevenire il terrorismo
Sin dai primi giorni della caduta del presidente islamista Morsi l’esercito ha avviato, sotto il comando del generale Abdel Fattah Al Sisi, una sotterranea guerra contro il terrorismo, pienamente condivisa dal ministro dell’Interno Ibrahim. Ieri infatti, il titolare degli Affari interni aveva annunciato una riorganizzazione degli apparati di sicurezza, con una serie di nomine estremamente delicate in settori nevralgici della difesa interna.
Fronte Sinai
Solo due giorni fa l’esercito ha condotto la sua più grande operazione contro fazioni islamiste armate nel Sinai; otto combattenti sono stati uccisi nel bombardamento di alcuni villaggi nei pressi della città di confine Rafah, sulla Striscia di Gaza. Ma in tutta risposta il gruppo terroristico salafita Al Dschihadijah ha negato i fatti e in una dichiarazione ai media di Stato ha definito l’esercito un “bugiardo che celebra la falsa vittoria nel Sinai”.
Le reazioni interne
Secondo il noto editorialista egiziano Mustafa Bakri, il tentato assassinio del Ministro degli Interni conferma che i Fratelli Musulmani, nonostante il loro fallimento, abbiano dato avvio alla seconda fase di una guerra. Sul suo account twitter la definisce una battaglia che li condurrà all’autodistruzione. Per questo chiede al governo che li consideri ufficialmente un’organizzazione terroristica. “È necessario – scrive – armare tutti gli agenti di Polizia per le strade ed estendere lo stato di emergenza per almeno altri tre mesi”.
di Francesco De Palo – twitter@FDepalo
Fonte: www.formiche.net