di Antonia Romano*
Le parole della nostra Costituzione, scritta da tutte le rappresentanze politiche dell’epoca, dai monarchici ai comunisti, con padri e madri costituenti che hanno condiviso, negoziando, un disegno di nazione democratica, sono state scelte accuratamente, in un processo di scrittura collettiva, di cui restano ampie testimonianze nei verbali delle sedute della Costituente, dove da Dossetti a Togliatti si discuteva persino sulla funzione del congiuntivo e dell’indicativo nel testo definitivo, limitando l’uso del congiuntivo, evitando, se non in rarissime eccezioni, l’uso del gerundio. Nella nostra Costituzione si leggono, infatti, solo 10 verbi coniugati al gerundio.
L’impianto sintattico scelto è volutamente diverso da quello di testi normativi: i periodi sono generalmente brevi e spesso costituiti da un’unica proposizione. Quando la frase diventa più complessa, i nessi semantici che collegano le proposizioni rispettano la forma paratattica. Mancano gli incisi proprio per garantire univocità dei significati e per eliminare ogni eventuale rischio di ambiguità. Le subordinazioni, dove sono necessarie, non vanno oltre il primo grado.
Molta cura è stata dedicata alla scelta di parole semplici, ma mai banali, alla formulazione di frasi che, oltre a non dare luogo ad alcuna ambiguità, risultino accessibili a tutte le persone, comuni cittadine e comuni cittadini, che hanno il diritto/dovere di conoscere la cornice di riferimento politico su cui si basa la nostra democrazia e a cui si ispirano le norme che tutte e tutti dovremmo rispettare.
Per esempio, raramente una frase è introdotta da “quando” o da “se”, nel pieno rispetto dei criteri di formulazione di testi ad alta comprensibilità.
Lo stesso testo della Costituzione, prima di essere portato in aula, è stato affidato a esperti di linguistica per garantirne la formulazione adatta affinché la Costituzione sia “letta anche dai bambini”.
Se, fatte queste premesse, confrontiamo il testo della Costituzione in vigore con quella della proposta di riforma, al di là di tecnicismi giuridici e di considerazioni politiche, possiamo verificare immediatamente come quest’ultima si ponga all’opposto dal punto di vista sintattico e semantico, creando, nella lettura complessiva di quella che dovrebbe diventare la nuova Costituzione, un forte squilibrio linguistico tra ciò che resta invariato e ciò che verrebbe modificato, compromettendo, di fatto, lettura, comprensione e, quindi, accessibilità.
Non occorre ripetere considerazioni ormai ovvie, a tutte e a tutti note e difficilmente confutabili, sul famoso art.70, estensibili peraltro anche ad altri articoli. Ma una cosa è certa, se qualche studente o qualche studentessa di scuole superiori scrivesse un testo scolastico così come sono scritte lunghe parti della proposta di riforma, certamente guadagnerebbe un debito almeno in italiano. Inoltre, si parla tanto nelle scuole di impegno a garantire lo sviluppo di conoscenze, competenze e abilità nel campo dell’educazione alla cittadinanza e ciò può essere realizzato solo a partire dallo studio e dalla comprensione della Costituzione. In quale imbarazzo si troverebbe la stessa scuola se si dovesse portare in classe il nuovo testo della Costituzione?
È proprio la deformazione linguistica del testo della Costituzione la prima grave violazione del diritto alla lettura e alla comprensione della nostra Carta fondamentale e ciò forse è la cosa che maggiormente e profondamente mi indigna, mi offende, facendomi sentire, come comune cittadina non esperta in ambito giuridico, poco rispettata.