Home / Economia / Lavoro / Nella guerra dei numeri ci perde il lavoro

Nella guerra dei numeri ci perde il lavoro

In tema di occupazione infuria la guerra dei numeri. Vi sarebbe da ridire, se la situazione non fosse tragica per chi il lavoro non ce l’ha o vive nella precarietà.

Dopo che ieri Repubblica,  nelle pagine economiche, aveva titolato testualmente , “Primi sei mesi di Jobs Act: disoccupazione giovanile ancora a quota record”, oggi la musica è già cambiata. Sullo stesso quotidiano e sull’Huffington post si possono leggere titoli è contenuti assai diversi. Così Renzi può dichiarare soddisfatto che il Jobs Act funziona. 

Cosa è successo in un giorno solo?

Semplicemente che i dati di oggi si riferiscono al mese di luglio, ove le cose sono andate un poco meglio, mentre  quelli di ieri al periodo gennaio – giugno 2015. Ed erano e sono sconsolanti Un mese solo è troppo poco per capovolgere il pessimismo in ottimismo. Forse si è fatta sentire con più forza una congiuntura internazionale più favorevole, in particolare dovuta alla caduta del prezzo del greggio e al rapporto per noi vantaggioso fra euro e dollaro.   Probabilmente c’è stata una spinta in queste ultime settimane ad usare di più il “contratto a tutele crescenti” per creare occupazione prevalentemente sostitutiva, nella fondata preoccupazione che i fondi per i lauti incentivi ai datori di lavoro possano esaurirsi. Ma va ricordato che il contratto a tutele crescenti una volta deprivato come tutti dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori che proteggeva il lavoratore dal licenziamento ingiusto, altro non è che una forma più raffinata di contratto a termine, potendosi licenziare in ogni momento. 

Probabilmente le migliori cifre di luglio sono dovute a un insieme di cose e non a una causa soltanto. Ma pensare di costruire la propria fortuna politica sull’andamento di un mese è una scelta temeraria e anche un poco disperata. Tanto meno dedurre da questi dati il successo del Jobs Act.

Ma in questa politica della immagine tutto può succedere. Anche che il Governo se la prenda con l’Istat, come ha fatto Poletti nei giorni scorsi. Beccandosi una dura reprimenda da parte dell’ex direttore dell’Istat ed ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini. Ma forse questa polemica aveva uno scopo e forse lo ha raggiunto. 

Chi se ne intende ha richiamato la mia attenzione sulla prima frase del comunicato stampa di oggi dell’istituto statistico nazionale, che così recita: “ Con l’obiettivo di fornire una informazione sul mercato del lavoro più ricca di contenuti, dal prossimo comunicato stampa l’Istat fornirà mensilmente nuovi indicatori, unitamente a intervalli di confidenza “

Cosa significa? Quali sono questi misteriosi intervalli di confidenza, detti altrimenti intervalli di fiducia? In parole povere vuole dire  che l’Istat (con ogni probabilità su pressioni del governo) accetta di riconoscere che i dati su cui lavora hanno possibili margini di errori fisiologici. Più o meno come le “forchette”, di cui ci parlano sempre i sondaggisti televisivi,  entro le quali si collocano le previsioni sugli orientamenti di voto o le proiezioni sui dati elettorali usciti dalle urne. L’errore diventa talmente umano, come ha detto Giuliano Poletti ieri, che, commettendolo tutti, sparisce la verità obiettiva. O meglio ognuno la interpreta come crede, essendo l’errore scusato in partenza. Così è se vi pare, insomma. Non siamo forse la patria di  Pirandello?

di Alfonso Gianni

 

Scritto da Redazione

Ti potrebbe interessare

Decreti Jobs Act, l’inganno è servito

Nelle ore successive all’approvazione da parte del Consiglio dei ministri dei due decreti attuativi del Jobs …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.