– Hai sentito cosa sta succedendo all’Ikea?
– So che fanno sciopero dopo tanti anni… c’è in ballo qualcosa di grosso…
– Ma sai che distribuiscono i volantini ai clienti?
– E loro ?
– Non entrano e se ne vanno.
In questo dialogo sussurrato tra due cassiere Auchan c’è la sintesi perfetta di una vicenda inedita ed emblematica.
Ikea ha aperto i primi negozi negozio in Italia 25 anni fa e la formula di mobili ed oggettistica dal design moderno a low cost, nel rispetto dell’ambiente, ha avuto un grande successo, tanto da portare ad un costante incremento dei punti vendita.
L’Ikea style si basa su “squadre” affiatate e accoglienti di professionisti pronte a risolvere i bisogni di ogni cliente con cortesia ed efficacia. Frutto di una politica aziendale rispettosa e sensibile anche nei confronti delle esigenze personali delle/ dei propri dipendenti. In un ambiente in cui tutti, dall’ultimo dei facchini allo Store Manager si danno del tu.
Ciò ha contribuito a fare dei negozi Ikea un’oasi felice rispetto alla giungla della grande distribuzione dove le condizioni di lavoro, sempre più dure e faticose, si ripercuotono inevitabilmente anche sulla relazione lavoratore-cliente.
Finché Il 6 giugno le organizzazioni sindacali indicono il primo sciopero dopo 25 anni; la multinazionale svedese ha infatti deciso di disdire il contratto integrativo.
Sui social network in un primo tempo le reazioni sono state indispettite:
-Come, avete un lavoro e vi lamentate?
– Siete dei privilegiati e non vi accontentate!
Ma è veramente così?
Roberta ha 42 anni lavora all’Ikea da quasi 20 anni, ha due figlie a carico e per questo ha scelto un part-time a 30 ore. Ha deciso di lavorare 3 domeniche al mese perché grazie alla maggiorazione domenicale del 130% (relativo ad uno dei contratti più vecchi) riesce ad arrivare a 1300 euro al mese.
Può trascorrere con le figlie solo un weekend ogni 4, ma in questo modo riesce a far quadrare i conti.
Sandra che ha un contratto più recente, avendo una maggiorazione domenicale inferiore, deve lavorarne 40 ore di ore per arrivare più o meno allo stesso stipendio.
Ma peggio di loro sono messe Marta, Paola, Francesco, tutti sotto i 30 anni, che sono riusciti ad avere un contratto part time a 24 ore e lavorando tutte le domeniche, grazie alla maggiorazione, riescono ad arrivare a 700 euro mensili.
Senza il contratto integrativo la perdita netta per ciascuno sarebbe intorno ai 200 euro. E dal 1 settembre scatteranno le decurtazioni.
L’azienda ha fatto una proposta per “sanare le disuguaglianze”, naturalmente al ribasso, legando le percentuali della maggiorazione al numero delle domeniche lavorate in una spirale infernale che costringerebbe le persone più deboli a lavorare sempre nei giorni festivi.
Ma di fronte all’intransigenza della multinazionale le lavoratrici e i lavoratori hanno deciso di proseguire la protesta con scioperi a sorpresa, a singhiozzo, coniando slogan divertenti e dissacranti, coinvolgendo i clienti e spiegando le loro ragioni con la consueta pazienza e disponibilità.
Lo sciopero è iniziato sabato 1 agosto a Milano, Bologna, Genova, Napoli, Padova, Firenze, Brescia. È continuato per tre giorni quasi ovunque, in alcuni casi, come a Genova andando oltre le 24 ore di sciopero proclamate dai sindacati confederali arrivando a 10 giorni.
Il 3 agosto si è fermato anche lo store di Torino. A Roma scioperi a sorpresa con blocco dello scarico o delle casse e cortei interni .
I lavoratori e le lavoratrici e si sono concentrati fuori dai negozi in rumorosi presidi, l’azienda ha provato a sostituirli con i lavoratori interinali chiamati in queste settimane di agitazione sindacale.
Nello negozio napoletano di Afragola si sono svolti cortei interni e lunedì 3 agosto l’azienda è stata costretta alla chiusura anticipata alle 19.30 per la difficoltà a coprire le mansioni.
Assemblee si sono svolte anche in altri dei 21 negozi della penisola, e sono attese nuove mobilitazioni nei prossimi giorni.
Ma intanto un miracolo è già avvenuto: in un paese come l ‘Italia in cui chi sciopera di solito suscita le ire di chi si trova a dover cambiare il proprio programma, i clienti Ikea solidarizzano con chi sciopera e in molti casi, anziché entrare nei negozi tenuti aperti dagli interinali e dai responsabili di reparto, ri prendono la macchina e se ne tornano a casa.
Non solo: sulla pagina Facebook di Ikea Italia le proteste si moltiplicano in modo esponenziale e se in un primo tempo sono stati i dipendenti a lanciare lo slogan : – Se tagli il personale perdi un cliente abituale – ora sono in tantissim* a riprenderlo come un mantra.
Una rete di consapevolezza solidale che dimostra come le ricette ispirate al Jobs Act abbiano come unico scopo quello di immolare al profitto la vita delle persone.
L’esatto contrario del buen vivir.
I 6200 dipendenti dell’Ikea, le loro famiglie, le persone che hanno deciso di sostenere la loro lotta dimostrano altresì che nulla è ineluttabile e che lottare insieme crea dei legami, sprigiona una forza collettiva, trasmette un senso di comunità allargata che aiuta tutt* a stare meglio.
Un concetto fondamentale che ben riassume uno dei commenti su Facebook:
“Anche oggi arrivo all’Ikea per prendere due cazzate ma anche oggi vedo dei dipendenti che volantinano all’ingresso. Non c’è ressa né coda e loro, sotto il sole, sono pochi. Prendo il volantino e ascolto le parole del ragazzo: << Quarto giorno di sciopero…>>.
Penso un paio di secondi che sono venuta apposta per la seconda volta e che non potrò fare il lavoro che mi ero prefissata oggi se non entro…
Ma arrivo alla seconda rotonda prima dell’ingresso e me ne vado via. E qui sento gli applausi ma soprattutto i GRAZIE di chi in quel piccolo gesto ha visto una solidarietà è una comprensione verso la propria lotta… Che sentirsi soli e non capiti credo sia una delle cose peggiori! Nessun mobiletto vale questo. #solidarietà “
di Patrizia Colosio