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La crisi greca e tutto il resto

 

La crisi greca ci riguarda per più di un motivo, a partire dal fatto che obbligare la Grecia al default significherebbe scatenare la speculazione finanziaria sull’Italia.

Non voglio discutere qui del debito greco, delle sue radici e cause (dalla spesa in armamenti alla spesa per le Olimpiadi) e di chi ci ha guadagnato (prinicipalmente i gruppi industriali e bancari tedeschi, che hanno venduto le armi, che hanno costruito gran parte dei siti olimpionici, che hanno prestato i soldi ai greci perchè comprassero armi e costruissero siti olimpionici). Nè voglio parlare di quello che è stato gabellato all’opinione pubblica come il “salvataggio” dei greci ma in realtà è stato il salvataggio delle banche tedesche e francesi che si erano irresponsabilmente esposte, ma il cui debito è stato poi trasferito sui bilanci pubblici.
Non ne voglio discutere perchè non è affatto questo il punto: il problema non è mai stato il debito, nè greco nè italiano.

Il nodo è un altro. La vicenda greca mostra come l’unione monetaria europea, in assenza di un’unione politica, fiscale e di conseguenza in assenza di efficaci ed effettivi strumenti di correzione degli squilibri regionali, non può che portare all’impoverimento e alla lenta desertificazione produttiva delle aree deboli. Vedo che molti continuano a scambiare le cause con gli effetti: la totale deindustrializzazione del paese è l’effetto di tutto questo, non la causa. Le politiche di austerità hanno accelerato e ingigantito il processo.

Ma c’è anche un’altra questione. Sempre che non ci si limiti a osservare la superficie della crisi, come i mass-media e la classe politica spingono a fare. Non stiamo assistendo ad uno scontro fra cicale e formiche, fra paesi operosi e paesi sonnacchiosi, insomma ad uno scontro fra nazioni. Stiamo assistendo ad uno scontro che vede da una parte i lavoratori e le classi medie e basse, sia tedesche che greche, e dall’altra i grandi poteri economico finanziari, a partire dagli azionisti e dai creditori delle banche.

Difatti, fra i motivi del crescente squilibrio interno all’Unione Europea (e del surplus della bilancia commerciale tedesca, quindi della violazione dei Trattati da parte della Germania) vi è la politica di contenimento dei salari avvenuta in quel paese. I lauti profitti che ne sono derivati non sono stati investiti dalle aziende in Germania ma in gran parte sono finiti nel circuito bancario, che, alla ricerca di maggiori guadagni, li ha portati all’estero. Di qui il fiume di crediti tedeschi alla Spagna, alla Grecia e all’Irlanda che sono all’origine delle bolle speculative, in primis quella immobiliare. Le bolle, i “boom” di cartapesta, gli armamenti etc sono stati finanziati con il taglio delle buste paga dei lavoratori tedeschi.

A noi, quindi, il compito di costruire un’Europa sociale, unendo ciò che la crisi e il neoliberismo hanno diviso, senza inventarci falsi nemici e tenendo a mente quelli veri.

di Tommaso Fattori

Scritto da Redazione

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