Scrivo. Poi cancello.
La verità è che non ci sono troppe parole da spendere.
Nel Partito maggioritario ci abbiamo sempre creduto tutti. Ad una condizione però.
La salvaguardia del pluralismo interno.
Veniamo invece da un anno duro, durissimo.
La minoranza dem è stata ignorata e spesso umiliata. Basterebbero gli epiteti utilizzati dal premier in questi mesi per sintetizzare il rapporto maggioranza – minoranza nel Partito.
La larga vittoria di Renzi al Congresso si è subito trasformata in una Segreteria arrogante prima e in un Governo arrogante poi.
Un climax ascendente culminato nella fiducia sulla legge elettorale, nella riforma della costituzione a colpi di maggioranza.
Il problema non è Civati fuori dal PD.
Il problema sono le battaglie politiche, di cui Civati è simbolo, che nel PD non trovano più cittadinanza.
Consumo di suolo zero, diritti civili, legalizzazione della cannabis, uguaglianza prima del merito, il coraggio di una netta collocazione politica, una lotta decisa alle mafie e alla corruzione.
“Traditore” leggo in molti commenti indirizzati a Civati nella galassia social.
Guardiamoci negli occhi.
Tradisce chi rispetta il programma elettorale con il quale è stato eletto o chi riforma il mercato del lavoro con Sacconi?
L’informazione ha spesso descritto i “civatiani” come elettori disposti a dire sempre di no. Niente di più falso. Abbiamo passato questi mesi a proporre continuamente, cercando di trasformare in realtà le 70 pagine di quella splendida mozione congressuale.
Un #PDiverso non è stata solo un’utopia per me. Nei mesi della campagna congressuale, ho visto il meglio del Paese darsi da fare per portare più gente possibile a votare per le primarie.
Tutti avevamo un obiettivo. Far finire al più presto le larghe intese. Triste illusione. Continuano e continueranno fino al 2018.
Il problema non è uscire o meno.
Il problema è dove ci sta portando Renzi.
Dal 2007, dall’età di 18 anni, ho dato tempo e passione a questo partito. Ho scelto di essere qualcosa di più di un semplice elettore, tesserandomi al PD e credendo nel potere e nella bellezza del dibattito nei circoli.
Oggi invece, solo 8 anni dopo, i Circoli vanno scomparendo. Il PD si sta tramutando in un comitato elettorale da montare e smontare in vista delle campagne elettorali. Il tutto nel silenzio generale.
Sento forte il bisogno di un programma politico chiaro, di radici culturali su cui fondare il mio voto, di un panorama di valori in cui crescere politicamente, do occasioni costanti di consultazione e dibattito.
Per ora vedo solo la voglia di vincere e governare a tutti i costi, imbarcando chiunque in un mare di indistinzione.
Una strategia che premia nel breve periodo, ma non progetta, non crea un futuro migliore per chi verrà.
Per questo ho deciso di non rinnovare la tessera del Partito Democratico.
Non é una decisione scaturita solo dall’addio di Pippo.
Parte da lontano, da una delusione strisciante che non mi abbandona dalla vittoria del Congresso di Renzi.
È una decisione triste, tristissima. Per me la tessera ha rappresentato una sfida entusiasmante: cambiare il PD dall’interno per cambiare il Paese.
É una sfida impossibile senza la tutela del pluralismo interno, ai tempi del pensiero unico renziano, superficiale e intriso d’ottimismo spiccio.
Rinunciare alla tessera non significa rinunciare ad una cittadinanza attiva. Non smetterò di fare quello che ho sempre fatto nel mio piccolo.
Avvicinare donne e uomini a temi, contenuti e battaglie.
Puntare a stabilizzare il 40% prendendo la via del Partito della Nazione, senza guardare ad astenuti, donne e uomini di sinistra.
Questa è una via che non posso percorrere.
La politica non può essere un costante compromesso con la propria coscienza. I fascisti e il “sistema Gomorra” con il PD in Campania, una riforma del mercato del lavoro condivisa da Sacconi, patti costituzionali elaborati con Verdini.
Non va via nessuno. Nessun addio.
É il Partito che è andato via da noi, rapito dalla deresponsabilizzazione, dal facile fascino di un deus ex machina sorridente e ottimista capace di tirarci fuori da ogni problema. Un’illusione comoda in cui non voglio più affogare silenziosamente.
Sono i temi e le battaglie che fanno una casa. E io sotto questo tetto soffro ormai solo di un’incessante claustrofobia. Una claustrofobia che diventa asfissia senza Civati e la sua capacità di rappresentare alcune istanze che considero fondamentali in un partito di centro – sinistra.
E a chi mi dice: “Ma Antonio con Renzi si vince” rispondo che preferisco perdere piuttosto che perdermi.
Ritroviamo il piacere delle sfide collettive, dei valori condivisi. Ritroviamo un’identità politica comune.
Liberiamoci dal gomito del selfista e rivolgiamo l’obiettivo verso chi non ha più fiducia.
È il momento del coraggio. Rinchiudersi in comodi e complici silenzi non ha più senso.
Il pluralismo ormai non è più un valore in questo PD. La mia tessera non ha più senso.
di Antonio Sicilia
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