La lunga crisi che dal 2008 sta scuotendo dalle fondamenta l’Europa (gli Usa vi hanno fatto fronte con maggiore efficacia, ottenendo risultati eccellenti dal lato dell’occupazione) sta portando con sé non soltanto sconquassi economici, ma, un po’ ovunque, anche modificazioni sostanziali del quadro politico.
Le vecchie famiglie politiche europee sono visibilmente in affanno e cercano di reggere l’urto delle spinte al cambiamento affratellandosi, consolidando, dov’è possibile, lo schema delle cosiddette “larghe intese” ovvero trovando forme meno “impegnative” ma non per questo meno efficaci (ed imbarazzanti) di collaborazione politico-istituzionale.
In Spagna il governo conservatore era uscito quasi indenne dalle europee di maggio, nonostante gli scandali e i dati ancora poco rassicuranti sull’economia, ma ad ottobre una maxi – inchiesta, partita mesi addietro dalla procura anticorruzione dell’Audiencia National di Madrid, si è conclusa con l’arresto di decine di persone tra funzionari pubblici, imprenditori ed esponenti del Partito Popolare. Una storia di appalti pubblici e tangenti, che ha gettato un’ombra sinistra sul sistema politico del paese, contribuendo ad alimentarne il discredito presso la popolazione.
Così, nei giorni scorsi, a margine del suo intervento al XVII Congresso Nazionale di Empresa Familiar tenutosi ad Alicante in Costa Blanca (2-4novembre), il primo ministro Mariano Rajoy, per la prima volta, ha parlato della necessità che anche nel suo paese si possa realizzare una convergenza tra socialisti e popolari, sul modello della Grosse Koalition tedesca.
Questa dichiarazione,che ha colto di sorpresa i media ed il mondo politico, è arrivata nello stesso giorno in cui le agenzie di stampa battevano la notizia sui risultati dell’ultimo sondaggio condotto da Metroscopia per El Pais. Risultati clamorosi, da far tremar le vene e i polsi. Secondo il giornale di Madrid se si andasse alle urne oggi, Podemos, il movimento guidato da Pablo Iglesias, risulterebbe, con il 27% delle preferenze, il primo partito spagnolo, seguito dai socialisti con il 26,2% e, a distanza di ben 7 punti percentuali, dal Partido Popular dell’attuale premier Mariano Rajoy, che si fermerebbe al 20,7%. Ne pagherebbe le conseguenze anche Izquierda Unida, cedendo quasi sei punti percentuali rispetto alle europee (dal 9,7% al 3,8%)
Podemos, quid est? L’esordio di questa forza politica, nata per filiazione dal movimento degli Indignados del 2011, si è avuto alle recenti elezioni europee, con un risultato molto lusinghiero, 8% di suffragi e 5 deputati. Un risultato che ha spinto i suoi promotori a virare verso una soluzione organizzativa meno informale del sodalizio. Di fatto si è dato l’avvio alla costituzione di un partito vero e proprio. Il processo costituente (Asamblea Ciudadana, Assemblea dei Cittadini) si è aperto il 15 settembre e si è concluso il 14 novembre, con la votazione finale dei candidati alle cariche elettive e l’elezione a segretario di Iglesias.
Il suo leader e ideologo, Pablo Manuel Iglesias Turrión, classe 1978, è un giovane professore di Scienze politiche all’Università di Madrid, studioso di Gramsci, che ha ricevuto il battesimo alla politica tra le fila della Juventud Comunista (UJCE), l’organizzazione giovanile del Partito Comunista Spagnolo. Figura carismatica, abile comunicatore dalla retorica forbita e penetrante, Iglesias è il volto e l’anima del movimento, letteralmente. Non a caso il simbolo presentato alle scorse elezioni europee recava proprio la sua effige. Un segno dei tempi, d’altro canto, in cui la vera cifra della politica è la sua personificazione (e la sua spettacolarizzazione).
Sarà anche per questo che gli analisti si sono affrettati a fare paragoni con Grillo e il Movimento 5 Stelle. Ma le differenze tra i due movimenti sono tante, a cominciare dalla collocazione europea. I deputati di Podemos al parlamento di Strasburgo hanno scelto di stare nel gruppo del Gue, insieme ad Alexis Tsipras, alla Linke tedesca, alla nostra Altra Europa. Come ha scritto qualcuno, in loro «l’essere di sinistra è innato», e poi non demonizzano i partiti e la politica in quanto tali, sebbene ne fustighino severamente gli aspetti degenerativi e la deriva oligarchica (anche loro parlano di “casta”).
Anche sul piano della comunicazione la differenza tra Iglesias e Grillo è abissale: il leader spagnolo predilige lo scontro dialettico, vis-à-vis, soprattutto in televisione, mentre Grillo ama i monologhi, la rete e le adunate. Beninteso, anche Podemos sfrutta efficacemente la rete, sia a fini comunicativi che nel processo decisionale interno e nella formazione della rappresentanza, ma nella loro esperienza contano molto anche i territori, le assemblee di circolo, le deliberazioni pubbliche.
Va aggiunto poi che dietro Podemos non c’è solo una storia di attivismo e di mobilitazioni semispontanee contro la gestione della crisi, ma una prolungata ed intensa attività di studio e di ricerca sull’evoluzione della società spagnola e sulle conseguenze delle politiche neoliberiste, che ha avuto come luogo di elezione la facoltà di Scienze politiche dell’Università Complutense di Madrid, da cui provengono sia Pablo Iglesias che altri dirigenti del movimento.
Fuori dai confini nazionali i loro riferimenti si chiamano Hugo Chavez (Iglesias è stato consulente del governo venezuelano) ed Evo Morales, icone delle recenti rivoluzioni bolivariane nel Sudamerica e di quello che, da quelle parti, è stato battezzato come «socialismo del XXI secolo».
Sul piano programmatico, oltre al tema del ricambio della classe dirigente («rot¬ta¬ma¬zione») e della lotta alla corruzione, i punti più qualificanti sono quelli che afferiscono alle modalità di fuoriuscita dalla crisi che attanaglia il paese, dove la disoccupazione, dopo quella greca, è la più alta dell’Unione (24,4% generale, 55,7% giovanile): riconversione ecologica dell’economia, nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali, riduzione dell’età pensionabile e dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali, sostegno alle produzioni locali di cibo, ristrutturazione del debito, lotta alle multinazionali, allo strapotere della finanza e delle banche.
Rispetto all’Euro la posizione di Podemos è più radicale di quella del resto della Sinistra europea, ma non assimilabile a quella delle forze sovraniste perlopiù di destra e di estrema destra, come il Front National di Marine Le Pen. Il punto fermo è che la moneta unica, così come è oggi, non serve e va smantellata. Non pensano ad una fuoriuscita unilaterale della Spagna dall’Eurozona, ma ritengono che insieme i paesi europei dovrebbero valutarne il superamento, non necessariamente verso un ritorno alle vecchie divise nazionali. Sì ad una moneta comune, insomma, purché il controllo ce l’abbiano democraticamente i popoli.
Dopo l’8% delle europee Iglesias aveva dichiarato: «Vogliamo togliere il potere ai popolari e ai socialisti. Per avere un governo rispettabile dove nessun potere finanziario venga prima dei diritti della gente». Obiettivo a portata di mano?
di Luigi Pandolfi
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