Un viaggio di mezz’ora dai lussuosi quartieri della periferia ovest a quelli disagiati dell’estremo Est di Berlino. Un’occhiata alle mappe regionali dell’istituto di statistica tedesco. O semplicemente la lettura di una busta paga di un cittadino dell’Ovest, dove un 5% è ancora destinato alla Patto di solidarietà, la contribuzione per lo sviluppo delle regioni orientali. Bastano questi tre semplici passaggi per rendersi conto di quanto, a 25 anni dalla caduta del Muro, il dislivello tra le condizioni di vita tra le ex due Germanie rimanga profondo. Una distanza che non si può imputare all’egoismo della parte più ricca nei confronti dei fratelli poveri, perché dal 1989 sono stati trasferiti oltre duemila miliardi di euro lordi (1.600 miliardi netti) dall’Ovest all’Est.
Ma di certo si deve all’inefficacia delle politiche attuate. Oggi l’Est ha un livello di sussidi doppio rispetto all’Ovest e ha un’economia fatta di piccole aziende poco competitive. I circoli virtuosi non si attivano. Milioni di cittadini tedeschi orientali hanno ottenuto libertà politiche di importanza fondamentale. Si sono liberati dalla morsa della Stasi e hanno ritrovato la facoltà di muoversi liberamente per il mondo e di esprimere le proprie opinioni. Da un decennio esprimono una donna dell’est, Angela Merkel, come cancelliera. Ma non è un caso se il malcontento politico, con gli euroscettici dell’Afd e con le formazioni di estrema destra, a oriente ha un largo consenso: la disoccupazione, la fuga di cervelli, una dinamica sociale bloccata per chi vive di sussidi sono oggi le spine dell’Est, che alimentano una rabbia crescente. Il “Muro nel cervello”, espressione in voga qualche anno fa, non è ancora del tutto alle spalle.
Occupazione e ricchezza: progressi ma la distanza resta
Le regioni orientali della Germania non sono più quelle del 1989, né quelle del 2007. Mentre nel resto d’Europa la Crisi di fine anni Duemila ha azzerato la crescita dei prodotti interni lordi e fatto galoppare la disoccupazione, in Germania la storia è stata diversa, anche a Est. Nel 2007 il tasso di disoccupazione nel lander orientaliera di oltre il 14 per cento, ha ricostruito uno speciale di Quartz. Nel 2012 era sceso al 10,2% e oggi, con il rallentamento complessivo della nazione, è risalito all’11 per cento. Per fare un confronto, l’Italia ha nel complesso un tasso del 12,6%, il Sud Italia, la Spagna e la Grecia hanno tutti tassi di disoccupazione superiori al 20 per cento.
Fonte: Quartz.com
Il gap tra Est e Ovest si va riducendo, ma rimane alto. Uno sguardo alle mappe interattive dell’istituto di statistica tedesco rende l’idea più di molti numeri. Nel 2003 la disoccupazione a Est era di dieci punti superiore rispetto all’Ovest, oggi è di poco più di 4 punti, visto che nell’occidente il tasso è del 6,4 per cento. Il reddito disponibile pro capite nel 1991 a Est era un terzo di quello dell’Ovest, oggi è pari a due terzi: 2.390 euro lordi contro 3.060 euro. Anche la produttività delle aziende ha avuto una dinamica simile: alla caduta del Muro era pari al 35%, oggi al 76 per cento, come ha evidenziato un dossier della Reuters.
Disoccupazione maschile in Germania
Disoccupazione femminile in Germania
Fonte: www.destatis.de
Ma ci sono numeri che mostrano un’evoluzione meno positiva. In primo luogo quelli del rischio di povertà, che dal Duemila ha ricominciato a correre velocemente.
Fonte: Quartz.com
Oggi in Germania il giudizio sul processo di avvicinamento tra i due ex Stati divisi dopo la Seconda Guerra Mondiale è oggetto di forte dibattito. «È sbagliato continuare a sottolineare le differenze tra Est e Ovest, oggi ha molto più senso concentrarsi piuttosto tra le differenze tra Nord e Sud della Germania», commenta a Linkiesta il germanista Angelo Bolaffi. Il riferimento è alle aree industriali della Ruhr, tra le più colpite dai cambiamenti economici degli ultimi anni. Molti altri, tuttavia, evidenziano come le differenze restino troppo nette, rispetto alle aspettative di 25 anni fa e alle promesse del cancelliere di allora Helmut Kohl. «L’obiettivo annunciato era che l’Est sarebbe dovuta diventare uguale in tutto all’Ovest, perché siamo un solo Paese. Alcuni parlano di un grande successo, ma guardiamo i dati: le cose sono migliorate ma il dislivello c’è ancora e nell’Est le persone che ricevono l’Hartz IV, il sussidio di disoccupazione, sono quasi il doppio nell’Est rispetto all’Ovest, il 10,6% contro il 6,4 per cento», commenta Patricia Szarvas, giornalista finanziaria, autrice del libro Ricca Germania poveri tedeschi. Il lato oscuro del benessere (Università Bocconi, 2014).
Pmi a Est, grande industria a Ovest
Secondo la giornalista, già volto di Cnbc da Londra e per dieci anni giornalista di Rai 3, è la struttura dell’economia nel lander orientale a rimanere molto diversa e a non permettere la chiusura del gap. «Solo il 4,6% delle aziende dell’Est ha più di mille occupati e il 52% dei dipendenti lavora in imprese con meno di 50 persone. In altri termini, la grande industria a Est non c’è, significa che negli ultimi 25 anni gli investimenti non ci sono stati, nonostante i salari nell’Est fossero molto bassi». Una critica che risuona, in Germania, è che gli investimenti siano stati più consistenti oltre il confine orientale, in Polonia, che nell’ex Ddr. «La mancanza di investimenti – continua – ha prodotto una fuga di cervelli: due milioni di ragazzi si sono spostati da Est a Ovest e non sono mai tornati. Per questi motivi, dubito che nel lungo termine le differenze si annulleranno».
Dopo il 1989 le economie delle due Germanie si ritrovarono completamente incompatibili. L’industria dell’Est non era assolutamente in grado di competere nei mercati internazionali: aveva troppi dipendenti, la produttività era bassa, la qualità dei prodotti era di gran lunga inferiore di quelli dell’Ovest. L’unificazione monetaria sotto il Marco, la moneta forte per antonomasia, avvenuta immediatamente per evitare un esodo di massa da Est a Ovest, contribuì a deprimere l’economia orientale. In pochi anni, l’agenzia Treuhand, responsabile della privatizzazione della Germania Est, aveva venduto 14mila aziende di Stato.
L’industria nell’Est ha visto negli anni arrivare impianti di grandi imprese come VW, Daimler e BMW, mentre altre come la Zeiss o il fornitore di componenti per auto Mitec Group sono tornate nella parte orientale del Paese, di cui erano originarie. Altri investimenti importanti sono stati fatti nel campo delle energie alternative, solare ed eolico in testa.
Sussidi: il chiodo nella bara
«In Germania si dice: “una volta nell’Hartz IV, per sempre nell’Hartz IV”. È come un chiodo nella bara». Non usa mezzi termini Patricia Szarvas, dovendo descrivere il sistema di sussidi che fanno parte delle riforme del lavoro della Commissione Hartz, insediata dal secondo governo Schroeder. L’attuale versione, Hartz IV, è in vigore dal 2005. «Il sussidio, di 450 euro, non basta mai – continua la giornalista -. Chi ne usufruisce viene stigmatizzato, i bambini non hanno la possibilità di frequentare buone scuole, perché sono legati alle scuole di quartiere. Si crea, quindi, un effetto ghetto nelle zone depresse. In questo modo la gente perde rispetto per sé stessa, si sente abbandonata. Se non si presenta ai job center viene penalizzata. È un sistema che produce mancanza di dignità».
Sfilata di Trabant, auto simbolo della Ddr, davanti alla Porta di Brandeburgo durante le celebrazioni per i 25 anni della caduta del Muro (ROBERT MICHAEL/AFP/Getty Images)
Come riportava un reportage di Laura Lucchini per Linkiesta sui quartieri disagiati di Berlino, il sistema Hartz IV «secondo i critici, ha creato fasce di popolazione marginate, dove spesso si rende difficile il reinserimento nel mercato del lavoro. Il problema si ripercuote in particolare sulle famiglie dei disoccupati cronici, dove, secondo quanto denunciano gli assistenti sociali, i figli hanno poche alternative a quella di seguire lo stesso sentiero».
La divisione resta anche a Berlino
Il reportage de Linkiesta si concentrava sul distretto di Marzahn-Hellersdorf, nell’estrema periferia est della capitale tedesca. Nel quartiere, che conta 250mila abitanti, il 50% dei neonati vive con un solo genitore, per lo più disoccupato; nel 98% dei casi si tratta della madre. Non è l’unica zona di Berlino che vive problemi di marginalità. «Un’altra nota per i problemi sociali è Lichtenberg, dove chi vive di sussidi sociali è il triplo rispetto alle zone ovest», commenta Laura Lucchini, oggi giornalista dell’agenzia televisiva Ruptly. «Il contrasto si vede, ancora oggi, soprattutto rispetto alle zone più a occidente della città, dove si trovano belle ville sui laghi che sono il rifugio per le famiglie borghesi più benestanti».
Un artista di strada compie delle acrobazie a Berlino durante le celebrazioni per i 25 anni della caduta del Muro (MAJA HITIJ/AFP/Getty Images)
Il centro di Berlino, invece, ha visto un’omologazione e una riqualificazione imponente, e ha mostrato negli ultimi anni tutta la sua vivacità artistica e imprenditoriale. La capitale tedesca è stata sede di una scena effervescente di start-up, tra le quali il servizio di musica in streaming SoundCloud, il portale di pubblicazioni scientifiche ResearchGate e i giganti dell’e-commerce Zalando (vendita di scarpe e vestiti) e Rocket Internet (incubatore di centinaia di start-up destinate ai mercati soprattutto dei Paesi in via di sviluppo).
Se la Berlino “cool” ha attratto centinaia di migliaia di giovani da tutta Europa, di cui una grande parte dall’Italia, non tutto oro è quel che luccica. «Berlino è una città piena di gente interessante e bohémien, ma è anche una città piena di debiti e che per chi deve vivere facendo lavori normali è difficile», sottolinea Patricia Szarvas. «Il “familienatlas” della società Prognos ha mostrato come Berlino, su 402 contee e città analizzate, si trova solo al 268° posto per la qualità della vita, e in posizioni di bassa classifica per quanto riguarda il mercato del lavoro, l’educazione, gli appartamenti e la demografia. Questo anche perché abbiamo avuto un grande flusso di immigrazione, che serve molto, proprio per i problemi di demografia, ma che deve essere più qualificata».
Rabbia politica
Le elezioni nei lander di Turingia e Brandeburgo, nella Germania orientale, dello scorso settembre, sono uno specchio dell’agitazione che oggi percorre l’ex Ddr. In Turingia Die Linke, il partito di estrema sinistra tedesco, ha conquistato il 28% dei voti, costringendo Spd e Verdi, rispettivamente al 12% e 6%, ad appoggiare come presidente l’ex sindacalista Bodo Ramelow. Una scelta che ha alimentato un forte dibattito, soprattutto dopo le parole del presidente federale Joachim Gauck: «Persone che hanno la mia età, e sono vissute nella Ddr, devono sforzarsi molto per accettare questo». Il malcontento, a Est, si è però espresso in questi anni a destra. Se la moderata Cdu di Angela è rimasta il primo partito in Turingia, con il 34%, la Afd, Alternative fuer Deutschland, formazione fortemente euroscettica e antisistema, ha raccolto il 12 per cento (il 10% nel Brandeburgo). L’Afd, che è stata associata al Movimento Cinque Stelle e ancor di più alla britannica Ukip, si dichiara “né di destra né di sinistra” e non ha una posizione xenofoba, anche se ha chiesto maggiori regole per l’immigrazione.
I consensi per l’Afd alle elezioni europee 2014
Molto più preoccupante è stata, negli scorsi anni, l’emergenza dell’estrema destra del Partito Nazionale Democratico di Germania, di ispirazione neonazista. Se su scala nazionale, alle elezioni per il Bundestag del 2013, si è fermata all’1,3%, senza ottenere seggi, nelle elezioni per il land del Meclemburgo-Pomerania Anteriore del 2011 arrivò al 6%, eleggendo dei rappresentanti nel parlamento regionale. Nelle elezioni del settembre scorso ha sfiorato il 5% in Sassonia e ha ottenuto il 3,6% in Turingia. Un’affermazione che viene spesso associata alla disillusione delle classi più disagiate dell’Est. «La gente in questo momento in Germania non sta bene – commenta Patricia Szarvas -. Anche se Angela Merkel appare popolare, molti le stanno voltando le spalle. Ne sono sintomo gli scioperi, mai così numerosi, e l’affermarsi di partiti come l’Afd. La radicalizzazione politica, per la storia tedesca, in Germania negli scorsi decenni è stata un tabù. Se viene fuori oggi è perché l’economia non funziona. La stessa Merkel dovrebbe capire che questo è il momento di investire e lasciare perdere la strada dell’austerity».
di Fabrizio Patti
Fonte: Linkiesta