Ok, Federica Mogherini è la nuova “lady Pesc”. Bel colpo, mister Renzi! Dalla crisi, però, non se ne viene proprio a capo. I numeri che abbiamo sui nostri taccuini sono da capogiro: il paese torna in recessione, la disoccupazione riprende a crescere, si affaccia lo spettro di una spirale deflattiva che potrebbe avere effetti molto deleteri sulla capacità di ripresa del paese.
A questo scenario da brivido fa da contraltare l’immagine del premier-guascone, checonvoca gelatai a Palazzo Chigi, sforna battute ad ogni piè sospinto, incasina il paese e le istituzioni di “riforme” farlocche e raffazzonate, fa del suo ministero un “annuncificio”.
La sua missione sembra essere sempre più quella di distrarre il paese dalle vere emergenze, anziché affrontare alla radice i mali che l’attanagliano. Mi viene in mente l’espressione che Mario Draghi usò anzitempo a proposito delle politiche di rigore nel nostro paese: “C’è il pilota automatico“. Appunto, il pilota automatico (Semestre europeo, sistema di governance comunitaria) guida la nostra politica economica e di bilancio, Renzi ed il suo governo intrattengono i cittadini con balli e canti.
È una conclusione troppo irriverente, lontana dalla realtà? Non credo. Non si spiegherebbe altrimenti la clamorosa discrasia tra lo stato di salute della nostra economia e le risposte che il governo dice di mettere in campo.
Nell’ultimo Consiglio dei ministri, preceduto dai soliti strombazzi sulle misure miracolose che sarebbero state adottate, è stato partorito un pacchetto di interventi (decreto “sblocca Italia”) relativo ad opere già finanziate per un importo di 3,8 miliardi. Il resto è un insieme di annunci, rinvii, spostamenti di soldi da un capitolo all’altro (per la Calabria, ad esempio, è stato tagliato il cofinanziamento nazionale sui progetti dall’Unione Europea dal 50 al 25 per cento, che fa 2 miliardi in meno di soldi da spendere), piccoli ritocchi normativi volti a semplificare procedimenti amministrativi complessi in ambito pubblico e privato. Chi si aspettava fuochi di artificio si è dovuto accontentare di qualche misero zolfanello.
Si poteva fare di più? No, perché qui non c’entra la volontà, né la capacità di chi è insediato a Palazzo Chigi. La grave colpa di Renzi, e di chi l’ha preceduto, non è quella di avere idee corte e scarse competenze, bensì di continuare a mentire, ovvero – che poi è anche più grave – a non avere le idee chiare sull’origine della crisi, sulla natura e l’efficacia delle misure adottate fin qui per contrastarla, sulle implicazioni della nostra adesione al patto di bilancio europeo, sul cortocircuito venutosi a creare tra l’attuale governance europea e la nostra sovranità costituzionale, rectius la nostra democrazia.
Un atteggiamento, quello di Renzi e del governo, che fa il paio con i continui annunci del governatore della Bce Mario Draghi. Ad oggi, di concreto, la massima autorità monetaria europea ha soltanto ricapitalizzato banche sull’orlo del fallimento e manovrato sul versante dei tassi d’interesse, tutto il resto è riconducibile ad una strategia di annunci e promesse che inizia ad avere il fiato corto (“munizioni finite“, ha detto giustamente il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble). Peraltro, dentro l’attuale architettura euro-monetaria, anche le cosiddette “misure non convenzionali” (manovre di quantitative easing, acquisto di titoli sul mercato) non avrebbero gli effetti sperati, sarebbero sterilizzate dalle ristrettezze draconiane imposte dal patto di stabilità ai bilanci pubblici (austerity). Il problema è a monte, quindi. Si chiama “modello di costruzione europea”. L’Italia, come gli altri paesi dell’Eurozona, ha ceduto significative quote di sovranità al consesso europeo, a cominciare dalla sovranità monetaria. L’Europa però non è uno stato federale, né un’unione politica. In Europa non c’è democrazia e la Bce non è concepita per sostenere la crescita, non ha nella sua mission la piena occupazione. Nondimeno dall’Europa dipende il destino di oltre 300 milioni di uomini e donne. I singoli stati hanno sempre più le mani legate, ma non c’è un’entità sovranazionale, politica, che abbia il potere di adottare misure efficaci, tempestive, in funzione anticiclica.
Beninteso, la crisi che stiamo attraversando ha radici complesse, ha a che fare, per certi versi, con la natura stessa del capitalismo. Nondimeno è stata pura follia pensare di rimediarvi attraverso politiche di austerità, tagliando la spesa pubblica e massacrando cittadini ed imprese con nuove e più esose tasse. “La mia spesa è il tuo reddito, la tua spesa è il mio reddito“, ci ricordava Paul Krugman qualche anno fa. Un’asserzione tanto limpida da sembrare apodittica. Eppure ancora oggi, mentre tutto va a rotoli, c’è chi sostiene che il problema siano le “riforme” e, segnatamente, quella del mercato del lavoro. Ma come, nel paese con il più alto numero di contratti atipici (2 su 3), dove i precari hanno sfondato la soglia dei 4 milioni, c’è ancora bisogno di destrutturare il mercato del lavoro e di alleggerire il regime di tutele per i lavoratori? Non scherziamo. L’unica cosa da fare, ed è già molto tardi, è stimolare la domanda, sostenere i consumi, fare l’esatto contrario di ciò che ci ha portato in recessione ed in deflazione. Facile a dirsi, direte.
In effetti tutto questo sarà impossibile finché il “pilota automatico” continuerà la sua corsa. Ma come fermarlo? I tempi sono stretti, non ci sono le condizioni per una riforma complessiva della governance comunitaria. Meglio una moratoria sui vincoli di bilancio, che non abbia però come collaterale le famigerate “riforme strutturali”, svendita di diritti e di patrimonio pubblico che vanificherebbe gli effetti di un’auspicabile politica espansiva dal lato della domanda.
Qual è l’idea del premier su questo punto? A parte i soliti proclami (l’ultimo: “lla crescita non è una richiesta dei Paesi che stanno peggio, è ciò che serve all’Europa“), ha per caso avanzato soluzioni concrete all’ultimo vertice dei capi di stato e di governo?
di Luigi Pandolfi