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Realfonzo: “Un referendum contro l’austerità: passiamo dalle parole ai fatti”

L’economista è nel comitato che promuove la consultazione popolare contro il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio: “Le misure imposte dall’Europa hanno aggravato la crisi, con tagli indiscriminati alla spesa pubblica e gli aumenti della pressione fiscale”. E le nuove aperture di Angela Merkel sul Patto di Stabilità? “Si sta semplicemente passando dall’austerità espansiva all’austerità flessibile. Bisogna cambiare politiche economiche e contrastare il rigore”. Infine, un invito a movimenti e partiti: “Raccogliamo insieme le 500mila firme necessarie”.

intervista a Riccardo Realfonzo di Giacomo Russo Spena

Riccardo Realfonzo, un comitato di economisti e giuristi ha indetto per domani, 26 giugno,una conferenza stampa per promuovere unacampagna referendaria basata su 4 quesiti, lo slogan è “Stop all’austerità. Riprendiamoci la crescita. Riprendiamoci l’Europa”. Innanzitutto è interessante analizzare l’orientamento eterogeneo e trasversale dei promotori: da Mario Baldassarri (uomo vicino al centrodestra) a Lei. Avete trovato un’intesa comune superando la dicotomia destra/sinistra?

Noi riteniamo che le politiche di austerità, con i tagli indiscriminati alla spesa pubblica e gli aumenti della pressione fiscale, siano una sciagura per l’Italia e più in generale per l’Europa. Già nel 2010 io ed altri promuovemmo una lettera contro l’austerità che fu sottoscritta da circa 300 economisti italiani e stranieri, tra cui autorevolissimi studiosi, ma i governi italiani non hanno mutato di una virgola la loro azione. Ci siamo quindi convinti che di fronte a questa sciagura ed emergenza nazionale ed europea, sia necessario mettere in campo il più ampio schieramento possibile di forze politiche e sociali. Da qui abbiamo definito un comitato promotore largo ed eterogeneo, con personalità molto diverse per formazione culturale e sensibilità politica.

Arriviamo alle ragioni della consultazione popolare. Sotto accusa vengono poste le politiche di austerity dell’Europa; in primis, il pareggio di bilancio in Costituzione e il Fiscal Compact. Per voi sono misure economiche che aggraveranno ulteriormente la crisi. Perché? 

Intanto è ciò che si è verificato sino a oggi. Le politiche del rigore hanno ampiamente peggiorato la situazione, come è ormai provato dalla letteratura scientifica: l’Europa ha risposto alla crisi scoppiata a fine 2007 con l’austerity, con il risultato che la produzione di ricchezza è ancora oggi inferiore ad allora, e abbiamo sette milioni e duecentomila disoccupati in più. In Italia, uno dei Paesi costretti a praticare le politiche più drastiche, la disoccupazione è raddoppiata e continua ad aumentare senza sosta, il prodotto interno lordo rimane inferiore del 9% rispetto al 2007 e milioni di imprese hanno chiuso i battenti. C’era una volta la teoria dell’“austerità espansiva”, secondo cui i tagli della spesa pubblica favoriscono la crescita. Ma si tratta di una teoria falsificata dagli eventi. L’austerità produce recessione e disoccupazione. Ed è ora di dire basta.

Secondo il comitato promotore infatti si uscirà dalla crisi soltanto col rilancio di politiche espansive. Eppure gli ultimi indici economici parlano di leggera ripresa economica in Europa, anche se a macchia di leopardo. La sua spiegazione? 

A riguardo va chiarito, dati della Commissione Europea alla mano, che il pil dell’eurozona è ancora inferiore rispetto al valore del 2007 per circa un punto e mezzo. All’interno di questo dato recessivo si assiste a una crescente divergenza tra Paesi che stanno riprendendo a crescere e quelli che crollano drammaticamente. Gli squilibri territoriali crescenti sono soprattutto l’esito dei processi cumulativi spontanei del mercato che tendono a concentrare lo sviluppo nelle aree centrali, a danno delle “periferie”. Al tempo stesso, c’è da considerare che i Paesi periferici sono stati costretti dai vincoli europei a praticare politiche di super austerità, con conseguenze devastanti, mentre altri – Germania in testa – hanno tratto vantaggio dal valore relativamente contenuto dell’euro.

Secondo alcuni la cancelliera Angela Merkel, anche sotto la spinta del governo italiano, starebbe aprendo alla possibilità di politiche economiche meno “austere” in Europa. Cosa ne pensa?

Sarei molto cauto sulle aperture della Merkel: si dice favorevole a usare i margini di flessibilità già presenti nel Patto di Stabilità, lasciandolo invariato, senza dunque un reale cambiamento nella politica economica. Il blocco tedesco non è orientato a rivedere i vincoli europei, ma solo a rendere un po’ più elastiche le modalità e i tempi per rispettare i vincoli. La mia impressione, dunque, è che si passi dalla ottusa intransigenza dell’“austerità espansiva” a una forma di “austerità flessibile”, che va un po’ incontro ai Paesi in difficoltà senza però cambiare realmente il segno delle politiche economiche. Aggiungo che si tratterebbe di una flessibilità concessa principalmente ai Paesi che praticano riforme incisive. Ma mi chiedo: di quali riforme parliamo? Se si tratta di riforme che vanno ancora nella direzione della deregolamentazione del mercato del lavoro allora siamo sempre più nei guai, perché è ormai provato che queste riforme non favoriscono la crescita occupazionale. Insomma, se passassimo dall’“austerità espansiva” a una “austerità flessibile” saremmo ben lontani dall’imprimere la svolta di cui l’Italia e l’eurozona hanno assoluto bisogno.

Alla luce di queste analisi come giudica l’azione del governo Renzi e le pressioni che esercita in Europa?

Farei due osservazioni distinte. Da un lato, bisogna sottolineare che il Documento di Economia e Finanza (DEF) messo a punto dal ministro Padoan si muove nel rispetto dei vincoli europei e assume i principi dell’“austerità espansiva”. Infatti, il DEF disegna il percorso di abbattimento del debito verso il 60% previsto dal Fiscal Compact, confidando di arrivare a fare insieme, da qui a pochi anni, due cose che insieme non si possono fare: avanzi primari (cioè eccessi del prelievo fiscale sulla spesa pubblica di scopo) nell’ordine del 5% e tassi di crescita reale del pil prossimi al 2%. Sotto questo aspetto le previsioni del governo sono davvero poco credibili. Dall’altro lato, però, a dispetto di ciò che c’è scritto nel DEF, il presidente Renzi sembra consapevole che bisogna superare l’austerità e fa in tal senso pressioni in Europa. È però assolutamente necessario andare ben oltre l’“austerità flessibile” e il mio auspicio è che la spinta popolare, dal basso, della iniziativa referendaria possa aiutare in tal senso.

Voi mettete sotto attacco l’Europa dell’austerity e della tecnocrazia. Nel discorso non parlate dell’euro, a differenza di forze euroscettiche o in Italia del M5S. Come mai? 

Su questi temi si fa spesso confusione. Il problema non è l’euro in sé. L’eurozona potrebbe funzionare in un quadro di politiche economiche espansive assecondate dalle autorità di politica monetaria, e in presenza di forti meccanismi redistributivi tra aree forti e aree deboli. In assenza di queste condizioni, per alcuni Paesi i costi della rinuncia allo strumento del tasso di cambio possono giungere a superare i benefici dell’adesione alla moneta unica. Insomma, di questo passo alcuni paesi potrebbero considerare razionale l’uscita dall’unione monetaria. E questo rischierebbe di segnare il fallimento del grande progetto di unione tra i popoli europei, messo in campo all’indomani della seconda guerra mondiale. Bisogna fermare questa deriva.

Referendum su trattati internazionali non sono possibili. Questo perché lo dovrebbe essere?

Credo che i giuristi del comitato referendario abbiano fatto un lavoro eccellente. I quattro quesiti propongono di abrogare alcune disposizioni della legge 243 del 2012, la legge ordinaria che applica la riforma costituzionale del pareggio di bilancio spingendo sulla linea di austerità addirittura più del fiscal compact e dei trattati europei. Questo referendum quindi non abroga né trattati né norme costituzionali, non potrebbe, ma porta i cittadini ad esprimersi finalmente contro l’austerità. E di ciò non si potrà non tenerne conto.

Qualche partito sosterrà tali quesiti o pensate di farcela con il solo sforzo di movimenti e società civile? 

Noi ci rivolgiamo a tutti i partiti e movimenti, e a tutte le forze sociali che in questi anni in vario modo hanno criticato le politiche di austerità e i vincoli europei. Ora, sostenendo il referendum e aiutandoci a raccogliere le 500mila firme, hanno la possibilità di passare dalle parole ai fatti.

A parte il referendum su acqua pubblica e contro il nucleare negli anni si sono susseguite soltanto sconfitte per mancanza del quorum. Non si rischia l’effetto boomerang?

Direi di no. E poi sarebbe ben poca cosa rispetto ai rischi che corrono l’Italia e l’eurozona procedendo con questa politica economica. Dobbiamo dire stop all’austerità prima che sia troppo tardi.

da: http://temi.repubblica.it/micromega-online

 

 

Scritto da Redazione

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